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L’esposimetro… questo sconosciuto

#1866390
GianMauro
Partecipante

Angor, stai tranquillo perchè non ho percepito nessuna aggressività.

Chiarito questo (sperando di non sembrarti aggressivo) io non condivido molto di quello che scrivi.

Scrivi:
“L’esposizione esisteva nella pellicola, perchè non c’era altro modo di prevedere quanta luce stavo dando alla pellicola.”

Il problema è atavico e dipende dal modo in cui interpretiamo il fenomeno luminoso. In pratica si è preso ad esempio l’occhio e si è imitato il suo sistema di funzionamento (esclusivamente perché è il più efficiente), la luce viene “pilotata” in modo tale da gestirne il flusso allo stesso modo con cui un liquido passa attraverso un tubo a sezione variabile. La sezione del tubo è l’iride nell’occhio o il diaframma nell’obbiettivo.

Se l’esposizione fosse una vasca da riempire con 100 litri di acqua, allora potrei riempirla in un ora con flusso di 100 litri l’ora, oppure in mezzora con un flusso di 200 litri l’ora. Il risultato non cambierebbe, l’ho comunque riempita.

“Con il digitale non serve passare per il concetto di esposizione: non mi serve misurare in qualche modo la luce che arriva, immaginare in quale modo si distribuisce sui vari soggetti (il famoso effetto del grigio 18%), calcolare in base a questa quanta luce far passare per predeterminare quanta luce dare al sensore.”

L’occhio, il sensore e la pellicola funzionano esattamente alla stessa maniera, rispettano le stesse identiche regole della fisica e si comportano a grandi linee alla stessa maniera… anche se l’occhio e la pellicola sono più simili tra di loro che con il sensore. Sono più simili perché si apprezza più il fenomeno elettromagnetico della luce, la “linearità” o meglio la “continuità” del fenomeno ondulatorio (fotografia analogica), su quello discreto o discontinuo dell’interpretazione “elettronica” del sensore (il digitale). Resta il fatto che sono due facce dello stessa medaglia. Due modi diversi di “leggere” lo stesso fenomeno.

Il grigio al 18% serve (come del resto hai scritto) da riferimento. Da solo non serve a nulla. Hai mai fotografato un cartoncino grigio 18% con qualsiasi e sottolineo con qualsiasi luce e con qualunque terna esposimetrica?
Guarda l’istogramma e poi esponilo… guardando l’istogramma (lo ammetto c’è molto sarcasmo in questa battuta. Perdonamelo).

Ovviamente uno potrebbe pensare che il grigio 18% sia nato per adattare il sistema zonale alla fotografia digitale ma non è cosi, ha un percorso a parte.Il grigio al 18% o è un cartoncino che ha una superficie che presenta una riflettenza del 18% che viene preso riferimento e viene riprodotta al centro di una ipotetica scala luminosa che va dal nero al bianco puro… , o essere un disco grigio all’interno delle macchine fotografiche a pellicola come in figura, oppure è un riferimento SW… un semplice dato registrato. Tanto semplice quanto essenziale, ma ATTENZIONE, esporre a partire dal grigio 18% ha senso solo perche misuro la luce riflessa (mi ricollegherò con un edit su questo argomento per rispondere ad Avaro):

PXL_20210131_134839361.jpg

Gli esposimetri misurano la luce riflessa, e come vedete è incorporato nella fotocamera (e che fotocamera aggiungerei): la luminosità media della scena viene sempre riportata al valore centrale, e il valore misurato fissa essenzialmente il centro della gamma di utilizzo della pellicola o del sensore. Quella che è nota come gamma dinamica, cioè il numero di stop rilevabili. E serve. Serve praticamente e scientificamente. Come del resto hai scritto tu stesso serve a stabilire la luminosità di tutto quello che compone la scena. Senza questo non esiste l’istogramma ma soprattutto non esiste l’esposizione

“Basta l’istogramma, che rappresenta direttamente il risultato finale di tutta questa catena di misurazioni, previsioni e approssimazioni….non mi serve l’esposizione perchè l’istogramma mi dice, in tempo reale, come il sensore sta raccogliendo le informazioni.”

L’istogramma… maledetto, mi toglie il sonno. È la rappresentazione elettronica del sistema zonale di Adams con un’informazione aggiuntiva, la densità di distribuzione della luce per pxl.
Importante. Quando uso il verbo transitivo rappresentare non voglio dire che sono la stessa cosa. Voglio dire che posso essere usati per descrivere lo stesso fenomeno. Ossia la distribuzione della luce sul supporto. Ma qual’è la differenza tra i due?

Nel sistema zonale Adams identifica una zona, la V, non rappresenta necessariamente il grigio al 18% ma bensì la zona su cui basare la capacità della pellicola di estrarre, in base alla gamma dinamica della stessa, dettaglio dalle altre zone. Se facessi la stessa cosa con l’istogramma su una fotografia estrema come questa che segue cosa farei a parte verificare il cutoff?

Se poi guardo l’istogramma, mi accorgo che sono pochi i pxl degni di nota a 128 bit (leggi 18%), e che l’istogramma ha una forma assurda. A proposito, qualè la forma corretta, quale dovrebbe essere l’altezza di ogni singlo rettangolino che che compone il grafico?

La verità?
L’istogramma da un informazione qualitativa non quantitativa

“L’uso dell’istogramma, se fosse compreso nei firmware, sarebbe enormemente più preciso e diretto rispetto all’esposimetro. Anche se certamente meno veloce, per cui oggettivamente non adatto al 100% delle situazioni.”

E come lo dovresti ottenere se non che con la scelta della triade di parametri? Non mi stancherò di scriverlo… l’istogramma è una conseguenza dell’esposizione. A parità di foto esposta cambiando la terna cambia l’istogramma[b].

Il gioco alla fine era basato proprio su questo concetto. Posizionato l’ago verde sopra quello rosso per quel determinato valore ASA (o ISO, anche se non sono proprio uguali tra loro), ottengo tutte coppie di Tempi ed F corretti. Tutte corrette esposizioni, tutti con istogrammi differenti. Gli Istogrammi servono, ma non servono a esporre.[/b]

“e senza parlare degli hdr, dove il concetto di esposizione svanisce completamente e si ragiona al 100% sull’istogramma, e pure a pezzi nemmeno per intero (nel senso che per definire le “esposizioni” delle singole foto guardo pezzi di istogramma: prima le ombre, poi le luci, separatamente)”

Ma no, è sempre la stessa storia del sistema zonale. Scegli cosa far diventare la zona V. Una volta lo imposti sulle ombre, una volta al centro e una volta sulle luci. Il digitale ti permette di sovrapporre le immagini… il povero Adams non poteva

“Ovvero, io mi sto rendendo conto che col digitale comincia a sfuggire proprio il concetto di “esposizione”…quale è, infatti, l’esposizione di una foto scattata a f5.6, ISO 100, 1/160 secondo a cui dopo, in PP, alzo le ombre, regolo la luminosità del rosso e del turchese, abbasso di 1 stop le alte luci e di 2 i bianchi?”

Il fatto che un supporto possa acquisire molte più informazioni di quello che uno crede non deve stupire e vale sia per la pellicola che per il digitale. Però… ho usato la parola crede, perché in realtà il supporto fa il suo dovere. Nulla di più che registrare. É sbagliato l’interpretazione della post-produzione che se ne fa. Esiste un principio inderogabile: nulla si crea, nulla si distrugge (in realtà continua… ma mi fermo qua). Dobbiamo Partire dall’assoluto dato che le informazioni non registrate non esistono. Posso simularle, ma non esistono. Posso amplificare il segnale, ma l’amplificazione essendo una simulazione lo deteriora proporzionalmente. Pensa a quello che succede quando aumenti il volume del tuo stereo, arriva un momento che dalle casse esce rumore. Quello che il SW fa e solo un più che apprezzabile artificio matematico. Ma quello che non esiste non lo crei. Non sovraesponi di 1 o 2 stop una foto, ne simuli ( a volte anche molto bene) l’effetto.

Giuro… sono stremato

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