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Luglio 11, 2013 alle 6:46 pm #1772510FrancoPartecipante
Originariamente inviato da Lippolo: Condivido, infatti ho detto che ci possiamo far guidare dalla “bella” luce, che però possiamo facilmente rovinare con la nostra imperizia (solo rovinare o sciupare, perdere l’occasione, non creare)
al fotografo è demandata la scelta di premere (o non premere) alcuni tasti, girare alcune ghiere, ma il suo compito è spesso marginale ai fini del risultato. La macchina sà già tutto, il fotografo deve solo vigilare per evitare che il mezzo commetta un’errore. Tutto questo, ovviamente, in certi ambiti di fotografia.
Originariamente inviato da Lippolo: parimenti possiamo decidere di non scattare se la “bella” luce non c’è… questo non lo fa la macchina e non può farlo il soggetto
“non scattare” non vuol dire nulla, è nulla, stop, parliamo invece di qualcosa di tangibile, di fotografia. una fotografia, sia essa un cartoncino fotosensibile od altro, oppure un’insieme di informazioni digitali è un prodotto tecnologico, stop. Il contenuto di una fotografia, chiamiamolo in modo semplice: il soggetto, è opera del fotografo nella misura in cui esso influisce sugli elementi che compongono la scena, stop. Il contenuto di una foto è importante, ma come mai non ne abbiamo ancora parlato? forse perché inconsciamente temi quello che temo io, che la discussione si sposti sulla post-produzione? Se il fotografo è “registra” di un documentario, il suo compito si limita a registrare e impaginare, montare i vari spezzoni della scena. Se invece il fotografo si pone nei confronti della realtà documentata in modo fantasioso, o addirittura astratto, compie un’atto di fuga dalla realtà, che di fatto lo pone ad un piano differente, più’ creativo, questo è ancor più vero quando l’utilizzo del mezzo esula dai canoni prestabiliti dall’IT contenuto nel mezzo stesso. In alcuni casi il fotografo svolge un compito importante nella produzione della fotografia, prova ad immaginare una lastra impressa in un banco ottico e poi sviluppata con processi particolari per rendere i colori irreali, oppure una lastra dove il materiale fotosensibile, ad esempio il collodio umido, è stato spalmato in modo irregolare Prova a pensare ad un collage di immagini unite tra loro tramite un metodo molto artigianale, manuale. Prova ad immaginare, e qui qualcuno salterà dalla sedia, ma poco importa, l’importante e che non si faccia male, un’immagine trasformata completamente in photoshop e poi stampata seguendo metodi poco convenzionali parliamo di fotografia artistica, e di cos’altro potremmo parlare? arte è -creare- e creare e porci nei confronti delle cose in modo totalmente innovatore. Creare vuol dire porci di fronte a Dio in modo paritetico, e qui via con la fantasia, sandali a go-go e saio con corda nella cinta permettendo, quando l’ego “creativo” prende il posto dell’ego tecnologico, non possiamo che esserne felici, almeno per quello che mi riguarda. Nella fotografia artistica è importante tenere alcuni aspetti come tecnica e creatività, su piani differenti, in modo che nessuno dei due prevalga sull’altro e tutti due abbiano il giusto valore che meritano.
Originariamente inviato da Lippolo: ..però non vorrei che da questo articolato e interessante confronto (nel qual io mi sono forse improvvidamente, in quanto ignorante come una bestia, inserito) trasparisse il messaggio contrario
Non esagerare .. la mia risposta nei tuoi confronti è condizionata dal fatto che tu tendi a dare molta importanza al fotografo, forse, e io a darne troppa al mezzo per consentire una distribuzione dei pesi piu’ equilibrata, e per far questo ho riportato la discussione al centro della bilancia, sull’ago che separa i due piatti, dove troviamo gli aspetti teoretici dell’argomento.
Luglio 11, 2013 alle 7:49 pm #1772517gianandreaLPartecipanteSiamo certi di poter affermare che una ritratto fatto con un 85mm 1,2 senza alcun intervento successivo è “reale”. La fotografia in un dialetto delle mie zone è definita “someansa”. Traduco in somiglianza. [lo]
Luglio 11, 2013 alle 8:48 pm #1772519lovis1PartecipantePenso di essermi perso…. la prossima volta semino delle schede SD così ritrovo la strada!
Luglio 12, 2013 alle 1:22 am #1772528gianandreaLPartecipantePensavo di raggiungerVi leggendo con buona lena gli interventi in ordine cronologico. Avete fatto troppa strada 🙂 forse devo adottare un approccio diverso.
Luglio 12, 2013 alle 1:30 am #1772529FrancoPartecipanteheheh GianAndrea, ovviamente concordo con la tua considerazione, la fotografia è una rappresentazione piu’ o meno realistica di qualcosa di reale. Lovis, come avrai compreso, non si accettano tagli inferiori a 16gb [fis]
Luglio 12, 2013 alle 1:35 am #1772530GianMauroPartecipanteSe né fatta di strada dalla provocazione…… tutto merito della piacevole intromissione di Filippo, che solo casualmente, ha permesso a Franco di mettere tanta legna al fuoco. Mi permetto di far notare che in pochi interventi Franco è riuscito a parlare di tutti o quasi gli aspetti teorici più importanti legati Fotografia. É stato molto umile, bisogna dargliene atto, ma a questo punto mi trovo obbligato a farvelo notare. Una piccola legenda solo per condividere piccole perle di conoscenza: Franco inizia la sua . provocazione parlando di segno. La semiotica, lo sappiamo, è lo studio del Segno. Uno dei problemi più difficili della semiotica è quello di collocare la fotografia come Segno. Se qualcuno, mentre legge queste parole, ha un sussulto pensando che la fotografia non ha nulla a che fare con la semiotica… bèh posso rispondergli che se la fotografia porta un qualsiasi messaggio allora questo può essere considerato un segno. Claudio Marra nel suo libro L’immagine Infedele nelle prime pagine del libro scrive: …che la questione del referente (fa particolare riferimento a R. Barthes ndr) ha condizionato l’affermazione artistica della fotografia come pure la sua autorevolezza in ambito comunicativo. …. Marra continua e parla dell’indiscutibile legame che la fotografia ha con la realtà per poi estendere il legame, sia al ruolo sia alla presenza dell’autore che è a sua volta è chiamato a rapportarsi con il mezzo (leggere I.T.). Ora viene il bello. Se il sistema tecnico ha escluso ogni intervento, ogni possibilità di linguaggio (perchè riporta l’assoluta realtà) ed ogni interpretazione (perchè è la realtà) allora si riconosce alla fotografia una congenita indisponibilità alla menzogna. Se nella lettura ancora una volta provate un sussulto allora state leggendo con attenzione. Immaginate per un solo attimo di vedere le fotografie di guerra di Capa, oppure una foto segnaletica di un delinquente.. la foto tessere della C.I o della patente, una foto ricordo dell’album di famiglia ecc. Chi può affermare che una fotografia del genere non rappresenti o abbia rappresentato la realtà? Direi nessuno. Marra (che per chi non lo sapesse insegna storia della fotografia al Dams di Bologna) cita volutamente Susan Sontag, quando parlando Sulla Fotografia scrive: eppure era li riferendosi alla fotografia mentre la guardava. Cioè si attribuisce alla fotografia una prova incontrovertibile di una testimonianza o se vogliamo una rappresentazione della realtà. Ritorniamo al Segno. Se l’automatismo tecnologico ha ridotto la responsabilità del referente e ha proposto un risultato veritiero allora questo (leggi IT ) non ha mentito. Ma se diamo per vero e giusto questo concetto, allora la semiotica applicata alla fotografia ha fallito. Fallisce perchè, se c’è un Segno questo deve e può essere interpretato e se può essere interpretato allora può mentire….. ma non abbiamo scritto che la fotografia non può mentire? Bohh.!!!! torniamo alla provocazione di Franco: il “segno” che ammanta le nostre immagini, riesce a rendere giustizia di ciò che vorremmo mostrare? Rispondo: il segno no, ma l’immagine direi di….. si bella sta paraculata, vero? Altrimenti perchè avrei scritto tutta sta storia per risponderti….. hihihi ad un’altra domanda di Franco: Una post-produzione volutamente caratterizzante può essere considerata un linguaggio appropriato, anche quando questa supera il linguaggio stesso della denotazione imposta dall’IT contenuto nel mezzo fotografico? Filippo risponde: secondo me no, non amo le post-produzioni estreme o eccessivamente caratterizzanti, se non quelle strettamente necessarie per ricavare una immagine in bianco e nero da una a colori Il mio buon amico Filippo cade in una contraddizione. Infatti Filippo afferma che ama riproporre la realtà…. Lui non è d’accordo con chi fa PP lo critica apertamente e lo dice chiaramente… acquista ottiche Zeiss per questo motivo. In pratica le foto di Filippo testimoniano, sono veritiere. Cioè sono le foto di cui scrivevo sopra, sono quelle che non mentono. Quindi non comunicano ma testimoniano. Ma poi tutto ad un tratto cade nella contraddizione di cui scrivevo: se non quelle strettamente necessarie per ricavare una immagine in bianco e nero da una a colori Beh….. ma non è la massima estremizzazione del fotoritocco? La conversione di una fotografia a colori in una in B&W….. non è una cosa da pazzi? Il grande H. C. Bresson definiva il B&W come la più grande astrazione della fotografia, allora poiché io mio trovo molto d’accordo con questo pensiero, rispondo ancora una volta alla domanda iniziale di Franco e scrivo si e lo sottolineo: Rende giustizia a ciò che voglio mostrare! Ritorniamo alla legenda di Franco: il “segno” che noi decidiamo di imporre al significante non sembra, a volte, l’inconscia affermazione dell’impotenza da parte dell’autore, di proporre un significato diverso da quello “esistente”, con la scusa che questo è, per estensione del mezzo fotografico, -denotazione- del significante. Ciò che il referente, “referente” visto come lo intendeva Barthes, indica in quanto tale, in quanto significante, non dovrebbe essere libero da eccessivi condizionamenti da parte dell’autore, soprattutto quando questi non sono -necessari- non fanno parte di un percorso obbligato, ma racchiudono un intento puramente estetico, e se vogliamo, in parte manieristico, basato su aspetti che investono l’ambito sociale, con abitudini e “mode” non relazionabili con il referente stesso. Il buon Franco fa uso di termini, come definirli…… delicati? Denotazione e referente sono un chiaro riferimento all’opera di Roland Barthes, Camera Chiara. Quando Barthes scrive il suo saggio, già da parecchio tempo Bejamin aveva scritto opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica e molti concetti erano stati abbondante già tra trattati anche dalla Sontag, ma Barthes che era un grande intellettuale, impostò il libro attraverso una serie di concetti base, definendo per esempio lo Spectator cioè colui che guarda e che vorrebbe interrogare. Attenzione Barthes guarda e Barthes si vorrebbe interrogare. Introduce il concetto di Studium che non significa studio, ma bensì l’applicazione a una cosa (alla fotografia ndr). Il punctum il vero messaggio della fotografia. Barthes scriveva: lo studium è una sorta di educazione (sapienza e cortesia) che mi consente di ritrovare Operator (il referente), di vivere gli intenti che improntano e animano le sue pratiche, ma anche di viverli in un certo senso alla rovescia, secondo il volere di Spectator. Barthes in pratica riscrive la Sontag attraverso il referente e ne descrive una connotazione. L’analisi della fotografia dipende dal contesto in cui viene analizzata, come la sua realizzazione. Poi definisce il medium un referente annullato dalla stessa opera, la fotografia. annullarsi come medium,non essere più segno bensì la cosa stessa Franco: imporre una diversa denotazione, come avviene ad esempio con le immagini instagram, non pone al fotografo uno scrupolo etico? Una polaroid è una polaroid, un’applicazione come hipstamatic, no sempre riferendosi alla legenda, il buon Franco fa riferimento a L’inconscio Tecnologico di Vaccari, ma risulta ormai chiaro che prima di Vaccari, Sontag e Barthes se erano a modo loro già occupati. Rispondo allo scrupolo etico: Parliamo solo e sempre di mezzi. Nessuno scrupolo. Come dice Ando Gilardi: la macchina fotografica fa la fotografia, chi pensa che con semplice clic fare la foto non ha capito nulla!!! Ancora Franco: come avviene nelle scatole cinesi, non c’è il rischio che così facendo il significato della fotografia, invece di ampliarsi, imploda su se stesso, riducendo le sue reali “dimensioni”? ti rispondo con una frase del mio idolo, Bresson: Il modo di esprimersi, di distillare quello che ci ha sedotto, varia in mille e mille modi. Dunque, lasciamo la sua freschezza all’ineffabile e non parliamone più. .. ahhhh Hic e Nuc, accidenti avevo dimenticato…. no non è vero. Letteralmente è qui ed ora. Ma non era il discorso della Sontag su eppure era li io l’ho visto! Ciao…. così impari a provocarmi!!! P.S. Se qualcuno si è perso mi dispiace, ma se per ritrovare la strada basta non leggere allora non fatelo. Non seminate SD, costano un botto, e non crescono alberi.
Luglio 12, 2013 alle 1:45 am #1772531gianandreaLPartecipantegrazie GM non ho ancora concluso la lettura del tuo ultimo ma non potevo senza prima ringraziarti. 🙂 Tutto sommato il mio veloce ed istintivo intervento non era OT.
Luglio 12, 2013 alle 1:58 am #1772533gianandreaLPartecipante[quote]Originariamente inviato da GianMauro: Ora viene il bello. Se il sistema tecnico ha escluso ogni intervento, ogni possibilità di linguaggio (perchè riporta l’assoluta realtà) ed ogni interpretazione (perchè è la realtà) allora si riconosce alla fotografia una congenita indisponibilità alla menzogna. “l’assoluta realtà” siamo certi della sua esistenza ? [fis]
Luglio 12, 2013 alle 2:03 am #1772534GianMauroPartecipantebella domanda. Pirandello: “Così è se Vi pare” 😀
Luglio 12, 2013 alle 2:33 am #1772540lovis1PartecipanteOriginariamente inviato da fra65: Lovis, come avrai compreso, non si accettano tagli inferiori a 16gb [fis]
Uso solo quelle da 4… giusto per non farmi prendere troppo la mano. Hai matrimonialisti concedo quelle da 8…. un paio. Dai 16 in su per chi usa la mitragliatrice, esplosivi, o armi di “fotografazione” di massa (?)
Luglio 12, 2013 alle 1:20 pm #1772549gianandreaLPartecipanteOriginariamente inviato da fra65: corri, corri, corri…. [IMG]public/imgsforum/2013/6/_-__0114a900.jpg[/IMG]
Il titolo dell’opera potrebbe essere l’incitazione dell’umano al suo amico 4 zampe. La posizione, da blocchi di partenza di una gara d’atletica lascia presagire una sfrenata corsa che verrà, fuga da un incalzante rogo o libera scelta ludica. In entrambi i casi le complementari macchie di colore sono elemento fondamentale dell’opera. La calda macchia sulla sinistra sembra spingere, come il propulsore di un razzo. Il guinzaglio unisce i due destini ed è linea che da movimento. Lo sguardo del cane porta verso il traguardo o la meta. [lo]
Luglio 12, 2013 alle 3:26 pm #1772556FrancoPartecipantemi è sempre piaciuto scrivere in terza persona è stato un piacere leggere l’intervento di GianMauro e ritrovare citazioni interessanti come quella della Sontag l’amico GianMauro ha espresso il suo pensiero con chiarezza e discreta sintesi, e soprattutto con appunti, “ben assestati” direi . tanto da farmi venire spontanea un’altra domanda: perché quel giorno mi sono posto quelle domande? non sò quanti di voi l’abbiano capito, ma GianMauro in realtà non mi ha risposto! aggirando le domande, che poi in realtà riassumendo, è una sola, in modo molto abile, che non dà scampo a repliche . adesso non riproporro più’ (la domanda), sfuggo al contraddittorio, oramai si è esaurita l’esigenza di trovare una risposta, che risale ad una foto che GM ha recentemente pubblicato in un suo post: forum_forum.asp?forum=4§ion=71&post=600177 dove si discuteva sull’invadenza dell’IT sulla realtà riprodotta con alcuni mezzi come le reflex che possiedono uno spiccato IT, e che quindi non sono in grado di “mentire”). Barthes, quindi, non ci indica una realtà prettamente esistenziale, ma si spinge su un piano prettamente teorico, citando l’esistenza (reale) dell’immagine riprodotta nell’immagine stessa, ovvero la fotografia. “Il referente aderisce”, la realtà appiccicata in modo indelebile nel cartoncino che chiamiamo fotografia, non solo non è contestabile, ma è l’unico referente che ci riporta alla realtà impressa sul supporto originale, quindi non riproduce la realtà vista dal fotografo (magari il fotografo ha visto tutt’altro, e l’osservatore guarderà tutt’altro), e neppure la realtà intesa in senso assoluto, questo è evidente, ma semplicemente la realtà – vista dal mezzo- e soprattutto -dal soggetto- La foto è fatta dal soggetto, senza soggetto non c’è fotografia, ma anche dal mezzo. Barthes non ci indica una realtà assoluta, anzi non specifica neppure cosa esso intenda, per esattezza, quando cita il termine “realtà”, semplicemente constata l’aderenza al reale di una serie di fotografie, ma non tutte, del resto non potrebbe farlo. Quando noi guardiamo un’immagine non guardiamo “una fotografia”, ma il contenuto dell’immagine, il referente, che possiede una “sua” realtà ben definita, come scrivevo nel precedente post: la (una) fotografia è una rappresentazione realistica. Non guardiamo altro, non vediamo la foto, l’autore della foto, i mezzi serviti per produrre l’immagine, i vari inconsci intervenuti nell’atto fotografico, ma solo l’immagine riflessa dal supporto sensibile, solo questa! guardiamo la realtà contenuta in essa .
Luglio 12, 2013 alle 4:33 pm #1772565LuppoloPartecipanteFranco, se vuoi sfogarti… andiamo da GM, io lo tengo e tu lo gonfi 🙂
Luglio 12, 2013 alle 5:14 pm #1772573gabriele77PartecipanteOriginariamente inviato da Lippolo: Franco, se vuoi sfogarti… andiamo da GM, io lo tengo e tu lo gonfi 🙂
[mat] [mat] [mat] Aldilà dello scherzo, ringrazio per gli interventi, motivo di apprendimento ed approfondimento. Grazie.
Luglio 12, 2013 alle 5:31 pm #1772574LuppoloPartecipanteOriginariamente inviato da GianMauro: Il mio buon amico Filippo cade in una contraddizione. Infatti Filippo afferma che ama riproporre la realtà…. Lui non è d’accordo con chi fa PP lo critica apertamente e lo dice chiaramente… acquista ottiche Zeiss per questo motivo. In pratica le foto di Filippo testimoniano, sono veritiere. Cioè sono le foto di cui scrivevo sopra, sono quelle che non mentono. Quindi non comunicano ma testimoniano. Ma poi tutto ad un tratto cade nella contraddizione di cui scrivevo: se non quelle strettamente necessarie per ricavare una immagine in bianco e nero da una a colori Beh….. ma non è la massima estremizzazione del fotoritocco? La conversione di una fotografia a colori in una in B&W….. non è una cosa da pazzi?
io ho parlato dei miei gusti personali, non in senso assoluto a me non piace la PP invasiva ed estrema però mi piace il bianco e nero, quindi la PP invasiva che serve a trasformare una foto a colori in bianco e nero mi tocca sopportarla… però non uso altro che DPP, passando a monocromo, ritoccando contrasto e ombre, a volte l’esposizione, applico un filtro colorato… non introduco grana, non uso vignettature posticce, non uso il seppia (di solito) non gradisco il “taroccamento” estremo della nitidezza, dello sfocato, degli sfondi, non gradisco gli HDR invasivi, le doppie o triple esposizioni, gli scontorni del soggetto… (di solito) Permettimi solo un chiarimento… sugli Zeiss… acquisto ottiche Zeiss solo perchè mi piacciono da morire…
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