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I paparazzi della morte. Spunti per una riflessione. (lungo)

  • Questo topic ha 55 risposte, 22 partecipanti ed è stato aggiornato l'ultima volta 14 anni fa da Franco.
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  • #1609701
    Carlo
    Partecipante

    Si Enrico, forse non sono riuscito a spiegarlo come volevo. Il pugno allo stomaco è perchè lo scatto mi costringe a pensare… e non è sempre automatico guardando una fotografia. Non mi permetto di giudicare il fotografo, ma solo quello che ho letto nell’articolo e la sua foto. C.

    #1609703
    EnricoX
    Partecipante

    Originariamente inviato da fra65: C’è un elemento che non si considera debitamente, l’assuefazione agli eventi, al dolore, alla morte.

    Esattamente questo, Franco, è l’elemento che mi ha più choccato di tutta la storia, la disumanizzazione derivata dall’assuefarsi al dolore, all’orrore, alla morte. Concordo con te, che ogni fotografia debba essere mostrata, nel modo e nelle sedi opportune, e intendo davvero OGNI fotografia. Però ci si deve far carico delle proprie azioni, del proprio modo di operare, di fronte a chi poi queste immagini le guarderà. Insito nel “mostrare” vi è proprio quel “mostro” del pensiero, far riflettere, e quindi suscitare reazioni, opinioni. La storia raccontata da quella fotografia è una storia di doppia disperazione, è un qualcosa che travalica lo scatto in se, perchè allo scatto è accompagnata la vicenda personale del fotografo, ciò che è stato il momento dello scatto, e ciò che ha significato per lui successivamente. Esiste però in ognuno di noi una soglia di partecipazione emotiva, la fotografia collega 3 entità differenti, la sofferenza del soggetto, il fotografo che la riprende e io che la osservo. Quando nel ritrarre la sofferenza di una bambina ridotta in quelle condizioni non vi è quella che si potrebbe definire “pietas”, allora il legame che unisce queste 3 realtà cessa di esistere, lo scatto stesso come si svuota, da strumento di partecipazione diviene merce, diviene osceno, indigna anzichè commuovere. Ripeto, è un limite molto, molto sottile questo, difficile anche da definire, ma credo che nel caso di questo particolare scatto, tale limite sia stato superato. Vorrei altresì chiarire, con la massima serenità, che argomento a quest’ora di notte non per amor di controversia, ma perchè ancora adesso non riesco a prendere sonno, ripensando alla fotografia.

    #1609704
    EnricoX
    Partecipante

    Originariamente inviato da carlop: Non mi permetto di giudicare il fotografo, ma solo quello che ho letto nell’articolo e la sua foto.

    Esattamente, anche io… è molto probabile che se lo scatto non fosse stato accompagnato dalla descrizione dell’articolo, il tutto sarebbe stato molto diverso, per me.

    #1609763
    chinaski
    Partecipante

    Verissimo Chiniaski, anzi io mi metto primo nella lista degli ignoranti… un po’ dietro invece in quella dei ‘fanatici della fotografia’ Carlo

    Ciao Carlo, con il termine ”fanatici della fotografia” volevo intendere, che tante volte il ”fotografo” ( non mi piace il termine fotoamatore ) conosce ogni minimo dettaglio di tutti i corpi macchina , ha sfogliato tutti i mille test di obbiettivi ecc ma non conosce cosa viene realizzato in giro per il mondo con questo bellissimo strumento 🙂 [lo]

    #1609766
    angelo40d
    Partecipante

    Io penso che un dramma, per essere veramente capito và correlato da una foto o da un filmato.Nessuno ci fà mai capire l’orrore della guerra parlandone semplicemente con parole, la vera guerra si capisce anche guardando una foto o un video.Al di là di quello che ogni foto può trasmetterci, sono cose reali che succedono, e per quanto brutte penso che sia giusto farle conoscere.Quello del reporter non è sempre un piacevole lavoro, ma a volte è uno sporco lavoro, e, qualcuno deve pur farlo……. [lo]

    #1609767
    Carlo
    Partecipante

    Originariamente inviato da chinaski: Ciao Carlo, con il termine ”fanatici della fotografia” volevo intendere, che tante volte il ”fotografo” ( non mi piace il termine fotoamatore ) conosce ogni minimo dettaglio di tutti i corpi macchina , ha sfogliato tutti i mille test di obbiettivi ecc ma non conosce cosa viene realizzato in giro per il mondo con questo bellissimo strumento 🙂 [lo]

    Più o meno quello che intendo io !! [lo]

    #1609772
    mastro01
    Partecipante

    Purtroppo e mi ci metto in mezzo. Quella bambina avremmo potuto aiutarla tutti. E’ questo che ferisce. Avremmo preferito non vederla, ma è esistita ed è morta come migliaia di altri bambini. Ammiro il servizio all’umanità che fanno questi (ed altri) reporter, per il resto sono uomini e non me la sento di giudicare.

    #1609802
    Franco
    Partecipante

    Originariamente inviato da EnricoX: Esattamente questo, Franco, è l’elemento che mi ha più choccato di tutta la storia, la disumanizzazione derivata dall’assuefarsi al dolore, all’orrore, alla morte. Concordo con te, che ogni fotografia debba essere mostrata, nel modo e nelle sedi opportune, e intendo davvero OGNI fotografia. Però ci si deve far carico delle proprie azioni, del proprio modo di operare, di fronte a chi poi queste immagini le guarderà. Insito nel “mostrare” vi è proprio quel “mostro” del pensiero, far riflettere, e quindi suscitare reazioni, opinioni. La storia raccontata da quella fotografia è una storia di doppia disperazione, è un qualcosa che travalica lo scatto in se, perchè allo scatto è accompagnata la vicenda personale del fotografo, ciò che è stato il momento dello scatto, e ciò che ha significato per lui successivamente. Esiste però in ognuno di noi una soglia di partecipazione emotiva, la fotografia collega 3 entità differenti, la sofferenza del soggetto, il fotografo che la riprende e io che la osservo. Quando nel ritrarre la sofferenza di una bambina ridotta in quelle condizioni non vi è quella che si potrebbe definire “pietas”, allora il legame che unisce queste 3 realtà cessa di esistere, lo scatto stesso come si svuota, da strumento di partecipazione diviene merce, diviene osceno, indigna anzichè commuovere. Ripeto, è un limite molto, molto sottile questo, difficile anche da definire, ma credo che nel caso di questo particolare scatto, tale limite sia stato superato. Vorrei altresì chiarire, con la massima serenità, che argomento a quest’ora di notte non per amor di controversia, ma perchè ancora adesso non riesco a prendere sonno, ripensando alla fotografia.

    probabilmente io e te in quelle situazioni avremmo agito allo stesso modo. una foto di guerra non commuove, solitamente di fronte alla guerra si rimane indignati, poi subentrano altri stati d’animo….. è inevitabile Enrico che tu sia indignato, la forza della foto è proprio questa. provo con parole più’ forti: il fotografo che scatta e lascia il campo agli avvoltoi sei tu! proprio tu, ed io, che seduti di fronte ad un pc esorcizziamo l’impotenza di reagire affermando che avremmo fatto diversamente……. quello che (inconsciamente) provi guardando la fotografia è proprio questo! prova a pensarci……… il senso di impotenza, d’incapacità di reagire di fronte all’evento rappresentato nella fotografia travalica l’immagine stessa, l’avvenimento in sè la foto trasmette in modo profondo ed efficace il senso della guerra, la sconfitta dell’uomo sull’uomo. la bambina è un simbolo, un essere indifeso e sconfitto, abbandonato il fotografo siamo noi L’avvoltoio è la morte, o se vogliamo, chi vince la guerra, sempre Bennato cantava in una canzone dell’album “l’uomo occidentale”, cito alcune strofe: ………a cosa serve la guerra? la guerra è sempre la stessa ognuno la perderà e ogni soldato che muore si perde un pò di umanità….. la guerra non dice niente guardati intorno e ci arrivi perché la vincono sempre i buoni e la perdono sempre i cattivi la guerra è un caso irrisolto perché la sua soluzione e che il più’ debole ha sempre torto e il più’ forte ha sempre ragione a cosa serve la guerra………

    #1609826
    EnricoX
    Partecipante

    Originariamente inviato da fra65: il fotografo che scatta e lascia il campo agli avvoltoi sei tu!

    E’ esattamente quello che sento. E’ esattamente il motivo per cui non sono riuscito a dormire, stanotte. Qui non si sta più parlando di fotografia, io non stavo parlando di fotografia. QUELLA fotografia ha cessato di esistere nel momento in cui il fotografo ha rilasciato quelle dichiarazioni, nel momento in cui il suo dramma ha travalicato l’immagine, invadendola, rendendola viva, è la vita in tutta la sua totale crudezza che è traboccata nello scatto, rendendolo qualcosa di diverso. Un simbolo forse, non saprei, comunque un qualcosa davanti al quale non si può, non si riesce a stare indifferenti. E probabilmente la grande rabbia che porto dentro deriva dall’incertezza, nel profondo del mio animo, di “cosa avrei fatto al suo posto”. La rabbia, tale da far digrignare i denti, deriva dalla consapevolezza che a volte basta un piccolo gesto per mitigare l’orrore quotidiano che ci circonda, e che quel piccolo gesto non lo faccio, troppo preso dalle mie cose, dai miei piccoli problemi di tutti i giorni.

    #1610143
    Anonimo
    Ospite

    Originariamente inviato da fra65: non conosco bene la storia della foto e il periodo in cui è stata scattata…

    Se vai al link segnalato nella prima pagina, puoi leggerla… (lo dico non in senso negativo o come provocazione) Comunque tornando a quello che successo, è stato già scritto molto e vari sono stati i punti di vista che penso abbiano aperto gli occhi di tutti (miei compresi), permettendo di vedere le varie sfacettature della realtà… Onestamente non me la sento di aggiungere altro.

    #1610277
    Franco
    Partecipante

    Originariamente inviato da McBrandon: Se vai al link segnalato nella prima pagina, puoi leggerla… (lo dico non in senso negativo o come provocazione)

    il link dell’articolo del corriere…… si l’ho letto, mi riferivo all’epoca in cui è stato fatto lo scatto, il Sudan ha vissuto molti conflitti, colpi di stato, pulizie etniche, carestie……. questo particolare è di non poca importanza per valutare il contesto in cui si trovava il fotografo, ma francamente non avendo voglia di fare la ricerca, l’ho lasciata a chi è interessato alla vicenda. Faccio solo una considerazione personale, in passato avevo già visto la foto in questione e letto in modo sommario la storia del reporter, del fatto che non ha mai rilasciato una versione ufficiale dell’accaduto (anche se nell’articolo del corriere pare l’abbia fatto) ……… non dobbiamo dimenticare che quando una foto vince un premio giornalistico importante come il Pulitzer, ci sono degli interessi (da parte del reporter, dell’agenzia, ecc) ad alimentare l’aurea di mito, l’alone di mistero attorno l’accaduto…… probabilmente non sapremo mai cos’è avvenuto veramente, e ciò che è stato scritto, non è detto coincida esattamente con la realtà. Ma questo è importante solo nel momento in cui vogliamo dare un giudizio al lavoro svolto dal fotografo, non cambia il valore della foto, che a mio parere è piu’ importante dei racconti che stanno dietro al “mito” di questo gruppo di fotoreporter. ciao [lo]

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