- Questo topic ha 21 risposte, 8 partecipanti ed è stato aggiornato l'ultima volta 10 anni fa da Alessandro Ingoglia.
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Gennaio 18, 2015 alle 10:49 pm #1822947Mullahomark86Partecipante
In questi giorni mi sono imbattuto in questa iniziativa della National Gallery of Arts che trovo veramente eccezionale. Stanno operando una digitalizzazione di tutto l’archivio fotografico di Robert Frank. Tutto: negativi, stampe e stampe a contatto. Di tutti i suoi lavori. Questo è il link con l’elenco, sulla destra, dei vari lavori:
Nello specifico, questa è la serie dei provini di “The Americans”:
Devo dire che questa cosa mi ha sinceramente emozionato, un po’ come quando mi ritrovai da bambino di fronte al fossile intero di Diplodoco conservato al museo delle scienze naturali di Londra (sia chiaro che non sto dando del fossile a Frank 🙂 ). Mi ha emozionato non tanto per il nome in questione, ma perchè si ha la possibilità di sbirciare in un mondo che mi immagino sempre qualunque fotografo voglia tenere gelosamente per sè, soprattutto se trattasi di fotografi affermati.
Da questi provini si capisce che Frank, e immagino altri nomi equivalenti, non era un alieno con dei poteri paranormali che azzeccava tutte le foto al primo colpo, era più o meno come tutti coloro che girano armati di macchina fotografica, con sicuramente una passione, un’ostinazione, e anche un po’ di follia, enormi. E secondo me si capisce bene anche un’altra cosa: che in fondo ogni fotografia può essere considerata “fatta” solo al momento della scelta all’interno della striscia del negativo. E ciò non è affatto banale.
[lo]Gennaio 18, 2015 alle 10:52 pm #1822948Mullahomark86Partecipante[quote=”Mullahomark86″ post=648888] E secondo me si capisce bene anche un’altra cosa: che in fondo ogni fotografia può essere considerata “fatta” solo al momento della scelta all’interno della striscia del negativo. E ciò non è affatto banale.[/quote]
O all’interno della scheda di memoria, il discorso non cambia [leg]
Gennaio 18, 2015 alle 11:37 pm #1822952albo49PartecipanteE’ il bello della fotografia caro Marco. Credo che la tecnologia digitale, spesso (ma sempre meno) criticata da alcuni irriducibili, in pochi anni abbia contribuito non poco a diffondere conoscenza ad un pubblico sempre più vasto, favorendo la crescita esponenziale della nostra passione. Ogni pensiero è comprensibile, anche quello di chi considera la fotografia digitale un sottoprodotto qualitativo di quella analogica seppur consapevoli di dover ricorrere al digitale per una maggior diffusione delle loro opere. Io sono sempre più convinto che quello che conta è la conoscenza, con la digitalizzazione dei grandi archivi emergeranno anche gli autori meno conosciuti, ma non meno interessanti.
Gennaio 19, 2015 alle 12:27 am #1822962Mullahomark86PartecipanteAlvaro, sono d’accordo con te. La digitalizzazione di tutto ciò che ci circonda non può che essere un bene, se facilita la conoscenza, come nel caso in questione.
Gennaio 20, 2015 alle 11:55 am #1823097annaPartecipanteAttraverso un libro intitolato “Sulle strade del reportage – L’odissea fotografica Walker Evans Robert Frank e Lee Friedlander” di Pier Francesco Frillici, ho potuto comprendere meglio l’opera di Robert Frank.
Per Evans e Friedlander mi sto riservando altro tempo.
Mai messo in dubbio il fatto che, anche per lui e per tanti altri, non tutte le ciambelle escono con il buco.
Trovo inutile parlare di digitale-analogico e viceversa, concentrandomi sul fatto che grazie alla tecnologia, in questo caso parliamo di scansioni, possiamo godere totalmente della visione di questo fotografo che ho cominciato ad apprezzare da poco.
Mi viene da pensare alla fortuna che abbiamo nell’avere accesso gratuitamente e senza tanti sforzi a un archivio davvero imponente, considerando solo che per The Americans ha utilizzato “circa ottocento rulli di pellicola, oltre diecimila provini fotografici e più due anni di viaggi coast to coast”.
Impensabile che questi quasi ottocento rulli contengano tutte fotografie “perfette” per quello scopo.Questo modo di agire moderno (lo so che mi fa vecchia ma non mi viene in mente altro termine) fa parte di un qualcosa che io considero come “cultura liberata” e alla portata di tutti.
Quindi ben vengano queste iniziative.
[app]Gennaio 20, 2015 alle 1:05 pm #1823104MassimoPartecipante[quote=”anbe40″ post=649015]considerando solo che per The Americans ha utilizzato “circa ottocento rulli di pellicola, oltre diecimila provini fotografici[/quote]
Avesse avuto 2 belle schedine SD da 64gb………. sai quanto tempo risparmiato? [mat] [mat] [mat]
Gennaio 20, 2015 alle 1:26 pm #1823105Mullahomark86PartecipanteComunque il titolo del topic è una piccola provocazione ma non c’entra nulla con la solita diatriba trita e ritrita analogico-digitale. Il digitale che volevo in qualche modo “ringraziare” è quello che permette di fare uscire alla luce queste belle cose. Spero vivamente lo facciano anche con altri fotografi.
Max però se perdi una schedina da 64GB….. [fis]
Gennaio 20, 2015 alle 1:34 pm #1823109Alessandro IngogliaPartecipanteL’iniziativa è lodevole da tutti i punti di vista e ringrazio Marco per averla segnalata.
Aggiungo anche che per la redazione del libro (che è un capolavoro del reportage) ci sono voluti più di due anni per la scelta e l’editing del libro.Gennaio 20, 2015 alle 1:49 pm #1823111MassimoPartecipanteSpesso quando osserviamo un lavoro…… una mostra…….. o un libro……. quella che vediamo è solo una piccolissima selezione dell’intero lavoro……… il poter vedere tutti i negativi penso che sia una cosa interessantissima e assai rara…….
Gennaio 20, 2015 alle 1:56 pm #1823112annaPartecipante[quote=”Mullahomark86″ post=649023]Comunque il titolo del topic è una piccola provocazione ma non c’entra nulla con la solita diatriba trita e ritrita analogico-digitale. Il digitale che volevo in qualche modo “ringraziare” è quello che permette di fare uscire alla luce queste belle cose. Spero vivamente lo facciano anche con altri fotografi.
Max però se perdi una schedina da 64GB….. [fis][/quote]
Il senso si è capito Marco, e ho voluto precisarlo semplicemente perchè non ho nulla contro il digitale inteso come fotografia. Ritornando all’argomento trovo che queste raccolte, accessibili a tutti, mettano in primo piano il fatto che anche i “mostri sacri” in realtà erano esseri umani che commettevano vari errori, lo si evince dai provini a contatto che parlano da soli, rimettendoli in una posizione più umana e rispettabile, con la possibiltà di seguire il viaggio “coast to coast” di Robert Frank attraverso quelle fotografie. Questa per me è l’emozione più grande.Probabilmente anche un H.C.B con un lavoro del genere verebbe santificato un po’ meno e forse gli si darebbe la possibilità finalmente di riposare in pace.
Gennaio 20, 2015 alle 2:33 pm #1823114Alessandro IngogliaPartecipante@Anbe: non sono d’accordo con te al 100%; secondo me un operazione del genere permette di capire come il fotografo opera davanti ad una scena che trova interessante e la riprende e poi come opera la scelta della foto.
È ovvio che anche i grandi fotografi sbagliano, semmai sbagliano meno, perché hanno già una loro visione…
Su Bresson aggiungo che proprio sulla falsa riga di Frank ha fatto un lavoro analogo sulla Francia e sui francesi che non è molto noto, ma che non ha avuto il riscontro del publico sperato, proprio perché privo di quella originalità che contraddingue il lavoro di Frank…Gennaio 20, 2015 alle 4:59 pm #1823136valeriobryPartecipantePersonalmente, ritengo errata la convinzione che da un “Maestro” ci si debba aspettare sempre capolavori, ritenendo uno scatto errato se non raggiunge la notorietà di quello pubblicato ed ammirato. Un maestro, che è anche un professionista, a differenza della quasi totalità dei dilettanti o amatori, non esce di casa a caccia dello scatto “buono”. Lavora per lo più su progetti, che sviluppa nel tempo, sull’arco di mesi o anche anni. I quasi 30.000 scatti di Franck contenuti nei famosi 800 rullini non sono il risultato di scatti a casaccio, nei quali pescare quelli buoni da fare confluire nell’opera finale. Sono lo sviluppo coerente (e magari, a volte, anche no) di un lavoro in parte programmato, in parte evolutosi nel tempo. Alla fine dei due anni, sicuramente la visione di Frank si è evoluta rispetto ai momenti iniziali. Ogni scatto, ogni rullino, rappresenta una tappa di tale evoluzione. Il professionista, come l’ingegnere, l’architetto, procede seguendo un progetto iniziale, messo alla prova da prototipi, tentativi, miglioramenti di particolari. Allo stesso modo, il fotografo procede tentando nuove vie, nuove angolazioni, ricerca di linguaggi nuovi. Tutto questo produce i famosi 800 rullini, dai quali inizia poi l’altrettanto impegnativo lavoro di elaborazione, scelta, esclusione, prove di stampa, ricerca di un racconto coerente che sviluppi il tema immaginato. Questo, secondo me, è lavoro tenace e coerente, illuminato, ovviamente, dalla grazia dell’arte, senza la quale non staremmo a parlare di capolavori o anche solo di segni di un contesto sociale posizionato nel tempo. [lo]
Gennaio 20, 2015 alle 7:38 pm #1823157albo49PartecipanteIn quel periodo era quasi scontato che molti fotogrammi finissero nel “cestino” e in particolare per quel genere fotografico. Solo successivamente, ed in particolare per le foto in posa e in studio, si affermò il sistema polaroid vera panacea per molti fotografi.
Scattare dovendo mantenere fissa la sensiblità per tutto il rullino, imponeva al fotografo veri e propri contorsionismi per ottenere la giusta esposizione quando cambiava il livello di illuminazione, ma si scattava comunque per non perdere il soggetto con la consapevolezza di veder ridotta la qualità tecnica: era troppo importante portare a casa lo scatto.
Sarebbe bello poter valutare la percentuale di scarto, vero indicatore della capacità dell’autore di gestire tutto il processo tecnico, potremmo rimanere piacevolmente sorpresi.
Il “Maestro” non si misura basandoci solo su qualche capolavoro, ma sulla qualità media delle opere prodotte.Gennaio 20, 2015 alle 9:26 pm #1823161ItzerPartecipante[quote=”Albo49″ post=649067]
Il “Maestro” non si misura basandoci solo su qualche capolavoro, ma sulla qualità media delle opere prodotte.[/quote]Sono d’accordo e naturalmente vale in ogni campo dell’arte: a volte il singolo “capolavoro” può essere frutto del caso.
Gennaio 21, 2015 alle 11:05 am #1823195annaPartecipante[quote=”Find my self” post=649032]@Anbe: non sono d’accordo con te al 100%; secondo me un operazione del genere permette di capire come il fotografo opera davanti ad una scena che trova interessante e la riprende e poi come opera la scelta della foto.
È ovvio che anche i grandi fotografi sbagliano, semmai sbagliano meno, perché hanno già una loro visione…
Su Bresson aggiungo che proprio sulla falsa riga di Frank ha fatto un lavoro analogo sulla Francia e sui francesi che non è molto noto, ma che non ha avuto il riscontro del publico sperato, proprio perché privo di quella originalità che contraddingue il lavoro di Frank…[/quote]
Discorso che non fa una piega e che condivido…
comunque preferisco che mi si chiami per nome… piacere Anna. 🙂 -
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