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pdigiambattista.
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Giugno 26, 2013 alle 10:50 pm #1770777
rossomoto
PartecipanteOriginariamente inviato da saiot: certo, ma il discorso era partito dal confronto tra le foto fatte con l’app per iphone e fatte con la reflex. in soldoni mi sono limitato a ricordare che quelle dell’iphone sono come sono perché è stata applicata una PP in modo automatico, e che quelle della reflex possono essere rese allo stesso modo applicando lo stesso tipo di PP, solo con maggiore consapevolezza e controllo.
Mi permetto di intervenire dicendo che forse proprio il fatto che la PP nelle reflex va applicata dopo a cura del fotografo rende quest’ultimo più consapevole di quello che intende trasmettere
Giugno 26, 2013 alle 11:12 pm #1770783GianMauro
PartecipanteSaiot scrive: Per me una fotografia digitale richiede sempre una PP, i telefoni o le compatte ne applicano una (o un limitato insieme) in modo automatico (o semiautomatico), mentre la reflex ti lascia grande libertà nell’applicare quella che vuoi (compreso applicarne una automatica o semiautomatica in macchina o in un momento successivo). Perdonami, ma ho l’impressione che sia io che Franco abbiamo un concetto di Inconscio Tecnologico diverso dal tuo…… Quello che romanticamente chiamiamo IT non è altro che il surrogato di una legge di mercato nota come Domanda ed Offerta. Permettimi un esempio pratico: Supponiamo che un azienda X decida di vendere un apparecchio fotografico con delle determinate caratteristiche, definite accattivanti al fine di vendere il più possibile il proprio prodotto. Per fare ciò ingaggia un consulente per fare uno studio di mercato. Lo studio mostra che l’utenza vuole una moderna DSLR con schermo orientabile, con fatture professionali ma al costo abbordabile, con un pulsantino vicino al pollice ed un altro vicino all’indice. Le immagini prodotte, devranno essere di un certo tipo con caratteristiche bla bla bla bla…..bla bla…. L’azienda, vista l’indagine di mercato, incarica un progettista di realizzare la DSLR con quelle caratteristiche e la mette in vendita. Trasponiamo ora, l’aspetto romantico alla pratica: Il Programmatore, è colui che realizza il mezzo con determinate caratteristiche, pensate da lui per soddisfare la massa e per riuscire a vendere. Il mezzo porta un retaggio concettuale, un progetto o una filosofia costruttiva, che sempre romanticamente parlando, altro non è che l’inconscio tecnologico, che in pratica però è lo studio di mercato. L’utente quindi, usa il mezzo secondo uno schema ,che è quello imposto dal programmatore, solo che non lo sa, e produce delle immagine che solo superficialmente rappresentano il suo intento. Permettimi un altro esempio: Estremiziamo il concetto di IT con il gioco dei dadi (l’esempio non è mio ma di Flusser uno dei massimi esponenti europei del linguaggio e teorico della comunicazione visiva). Il programma (leggi IT) da definire è il gioco del lancio dei dadi che è basato sul caso e combina gli elementi da 1 a 6. Ogni lancio è casuale ed ogni evento di lancio è matematicamente definito indipendente e non si può prevedere; ma a lungo termine ogni sei lanci ci sarà necessariamente l’uscita del numero 1. In altre parole tutte le possibili combinazioni si realizzano casualmente, ma a lungo tempo tutte le combinazioni possibili dovranno NECESSARIAMENTE realizzarsi. Gli apparecchi pensano nel senso che sono stati pensati per agire secondo schemi e funzionare AUTOMATICAMENTE. Secondo questo principio gli apparecchi sono onniscienti e onnipotenti ma solo all’interno dei loro universi. La fotografia oggi, è la realizzazione casuale di alcune delle possibilità inserite nei programmi del mezzo, realizzazione che corrisponde ad una specifica combinazione che necessariamente si verificherà, che il gioco si svolge automaticamente e non è intenzionale, che ogni fotografia è la concretizzazione del programma. Ecco (forse) spiegato l’Inconscio Tecnologico Spero di essere stato chiaro…. Quindi tornando alla Tua affermazione che ho riportato sopra. Alla luce di tutti questi discorsi, credo sia plausibile ipotizzare che qualunque cosa tu voglia far fare alla reflex in pratica è già stato pensato dal programmatore e dato che il mezzo è quello che è tu non puoi che generare immagini… di un certo tipo Le estensioni e le implicazioni sono assolutamente innumerevoli I concetti teorici sono solo teorici e la filosofia e la semantica applicata alla fotografia hanno solo il compito di liberarla dal programma…. …..mazza che fatica scrivere ste quattro cazzate
Giugno 27, 2013 alle 1:03 pm #1770843Peter72
PartecipanteOriginariamente inviato da pdigiambattista: Rispondendo a Peter72, ti ringrazio per gli apprezzamenti (fanno sempre piacere!. Per il resto volevo poi chiarire un qualcosa che probabilmente hai male interpretato o che comunque forse io ho esposto nella maniera sbagliata: il fotogiornalista di cui parlavo rispetto al bambino, non era Pellegrin. Inoltre non è che egli si fosse portato da casa un modello. praticamente egli aveva (il luogo era l’Africa)un bambino di colore e lo aveva messo vicino ad una piccola finestra dentro una casa/baracca in modo che lacuce che entrava lo illuminasse nel modo da lui voluto. Praticamente la foto non aveva nulla di naturale , ma era assolutamente preparata.
Ciao digiambattista, i complimenti sono dovuti, tornando invece su Pellegrin, avevo preso lui come esempio, riferendomi al lavoro menzionato da Mabriola e dalle polemiche scaturite dalla sua foto arrivata 2° nel WPP. Per quanto riguarda la tua esperienza (Africa), rimango dell’idea che sistemare delle cose che già esistono e fanno parte del luogo, non è proprio reato, tipo il bambino, la baracca e la luce erano comunque del posto……esiste il ritratto posato nel reportage che fa uscire dall’impaccio anche i più grandi fotografi accusati appunto di falso……… :im. :D. Ciao
Giugno 27, 2013 alle 1:49 pm #1770852saiot
PartecipanteOriginariamente inviato da GianMauro: Alla luce di tutti questi discorsi, credo sia plausibile ipotizzare che qualunque cosa tu voglia far fare alla reflex in pratica è già stato pensato dal programmatore e dato che il mezzo è quello che è tu non puoi che generare immagini… di un certo tipo
non mi trovi molto d’accordo. al crescere della complessità di un sistema le combinazioni dei suoi output diventano così elevate da essere sostanzialmente non deterministiche. un cubetto lego si può incastrare con un altro cubetto lego solo in un numero molto limitato di modi, ma aumentando il numero di cubetti il risultato è assolutamente non determinabile a priori. sarebbe come dire che dato un determinato linguaggio naturale tutte le opere letterarie che si possono scrivere in quel linguaggio sono già determinate a monte dalla semantica e dalla grammatica del linguaggio stesso. in un certo senso astratto è vero, ma in pratica è evidente che il linguaggio è uno strumento abbastanza complesso da poter essere plasmato in modo assolutamente creativo e originale (anche se è vero che ha dei limiti intrinseci e che non permette di esprimere sempre tutto). tornando a bomba la DSLR è pensata proprio per generare immagini il più neutre possibili, lasciando a valle la possibilità di caratterizzarle come meglio si crede (se si ha la creatività, la capacità tecnica e anche il tempo e la voglia di farlo). viceversa altri strumenti realizzano immagini più caratterizzate e quindi che lasciano meno libertà creativa. poi si può discutere se una volta che si ha l’obiettivo di realizzare un’immagine con un’estetica da toy camera sia più creativo o più onesto realizzarla con una toy camera vera, con un app per telefonino o con una reflex + PP.
Giugno 27, 2013 alle 2:06 pm #1770856marco66
PartecipanteIn effetti era quello che volevo dire mio intervento anche se in modo piu’ banale. Il medium fotografico e’ lo stesso fin dagli albori i pochi incastri (forse neanche tanto pochi ma diversi) dei lego degli inizi si sono tramutati in un cubo di rubick con innumerevoli possibilita’. Concordo con Gianmauro quando dice che e’ il “programmatore” a dettare legge, ma dovremmo reinventarci un medium personalizzato per sfuggire a queste regole. [lo]
Giugno 27, 2013 alle 2:28 pm #1770859rossomoto
PartecipanteOriginariamente inviato da marco66: … Concordo con Gianmauro quando dice che e’ il “programmatore” a dettare legge, ma dovremmo reinventarci un medium personalizzato per sfuggire a queste regole. [lo]
Io sono dell’idea che l’unica occasione per “sfuggire alle regole” è l’istante in cui decidiamo quale mezzo usiamo. E’ quando scegliamo l’obbiettivo, la pellicola piuttosto che il digitale, pellicola a colore o bianco e nero, holga o grande formato che decidiamo quali regole accettare e quali rifiutare. Poi ovviamente i limiti non sono poi così definiti ma ci sono sicuramente cose che si possono e altre che non si possono fare (street con un banco ottico mi pare difficilino 🙂 ), però ci sono ed all’interno di quelli si lavora. Il fatto, forse, è che spesso non siamo consapevoli di questi limiti o che forse si ha più familiarità con i limiti di un mezzo ma non di un’altro.
Giugno 27, 2013 alle 3:08 pm #1770864pdigiambattista
PartecipanteCiao digiambattista, i complimenti sono dovuti, tornando invece su Pellegrin, avevo preso lui come esempio, riferendomi al lavoro menzionato da Mabriola e dalle polemiche scaturite dalla sua foto arrivata 2° nel WPP. Per quanto riguarda la tua esperienza (Africa), rimango dell’idea che sistemare delle cose che già esistono e fanno parte del luogo, non è proprio reato, tipo il bambino, la baracca e la luce erano comunque del posto……esiste il ritratto posato nel reportage che fa uscire dall’impaccio anche i più grandi fotografi accusati appunto di falso……… Peter 72, per carità io non mi scandalizzo di ciò, il problema è che il professionuista che faceva ciò poi durante il suo workshop ha fatto a me una bella romanzina per la stessa cosa! Questo trovo inammissibile e da ipocriti!
Giugno 27, 2013 alle 3:15 pm #1770866pdigiambattista
Partecipantenon mi trovi molto d’accordo. al crescere della complessità di un sistema le combinazioni dei suoi output diventano così elevate da essere sostanzialmente non deterministiche. un cubetto lego si può incastrare con un altro cubetto lego solo in un numero molto limitato di modi, ma aumentando il numero di cubetti il risultato è assolutamente non determinabile a priori. sarebbe come dire che dato un determinato linguaggio naturale tutte le opere letterarie che si possono scrivere in quel linguaggio sono già determinate a monte dalla semantica e dalla grammatica del linguaggio stesso. in un certo senso astratto è vero, ma in pratica è evidente che il linguaggio è uno strumento abbastanza complesso da poter essere plasmato in modo assolutamente creativo e originale (anche se è vero che ha dei limiti intrinseci e che non permette di esprimere sempre tutto). tornando a bomba la DSLR è pensata proprio per generare immagini il più neutre possibili, lasciando a valle la possibilità di caratterizzarle come meglio si crede (se si ha la creatività, la capacità tecnica e anche il tempo e la voglia di farlo). viceversa altri strumenti realizzano immagini più caratterizzate e quindi che lasciano meno libertà creativa. poi si può discutere se una volta che si ha l’obiettivo di realizzare un’immagine con un’estetica da toy camera sia più creativo o più onesto realizzarla con una toy camera vera, con un app per telefonino o con una reflex + PP. Riguardo alla risposta di Saiot volevo solo dire che mi trovi assolutamente in linea con il tuo pensiero.
Giugno 27, 2013 alle 3:25 pm #1770869pdigiambattista
PartecipanteVorrei solo aggiungere che è bene ricordarsi che dietro l’apparecchio, sia esso digitale in qualsiasi forma (reflex, mirrorless, compatta, smartphone ecc.) o analogico, ci siamo noi e solo noi possiamao se ne siamo capaci, superare il limite ed andare oltre. Non penso sia tutto così rigidamente inquadrato e prestabilito. Certo sicuramente lo è per chi non ha o non cerca nel proprio bagaglio la maniera per andare oltre!
Giugno 27, 2013 alle 3:48 pm #1770871lovis1
PartecipanteNon vi è mai stato nulla di inquadrato o prestabilito, sia per quel che riguarda l’analogico o digitale. Le nostre capacità o meglio potenzialità vanno sviluppate nel tempo come in qualsiasi disciplina. I fattori determinanti sono sempre quelli… sensibilità, intuizione e creatività… sono queste caratteristiche intrinseche in ognuno di noi che vanno sviluppate. Prima la chimica ed ora il software… dobbiamo renderci conto che sono semplicemente mezzi, e tali restano. A mio parere ognuno deve usare quello con cui si trova meglio, lo so è scontato ma i risultati migliori arriveranno così.
Giugno 27, 2013 alle 3:56 pm #1770874Claudio
PartecipanteHo appena finito di leggere, piacevolmente, questa discussione. E, in mezzo a tante interessanti riflessioni, ne butto giù qualcuna anch’io. Innanzitutto premetto che di massima mi trovo d’accordo con quanto detto da Franco nel post 25giugno/10:18:01/pag.5. Vorrei soffermarmi sul suo suggerimento di non inseguire, con nostalgia, una “chimera che non porta a nulla”. Chimera che consisterebbe (consiste!) nel chiedere alla nostra DSLR di essere ciò che non è e che, al massimo, può solo imitare. Ecco, a questo proposito, penso che si stia già guardando avanti nel momento in cui, ad esempio, la PP di rossomoto o la scelta di usare un iPhone come ha fatto pdigiambattista, siano prese per quello che sono senza aggiungerci l’intenzione di imitare: prendendo insomma ciò che può anche essere nato come un mezzo-per-imitare-qualcosa come un semplice mezzo-per-comunicare-qualcosa. Porto un esempio. Se leggo tra le opzioni di un software “Effetto Holga” e lo uso per convertire foto “alla maniera della Holga”, così come potrei fare foto “alla Polaroid” o, pensando a un autore, “alla Dragan”, allora sono in pieno nel campo dell’imitazione e non potrò mai raggiungere un risultato prefissato, ma solo avvicinarmici. Questo è manierismo. Un po’ come quei rinascimentali che imitavano i classici avendo come obiettivo massimo quello di eguagliarli. Ma col digitale abbiamo l’occasione di una rifondazione (se mi si permette di nuovo una similitudine, come quando dal latino si è passati ai mille volgari tutti diversi e tutti con la propria patina locale e che poi son diventati le nostre lingue romanze: italiano, spagnolo, francese…), abbiamo l’occasione di usare i nuovi mezzi non per eguagliare chi ci ha preceduto (tanto gli apparecchi – Holga, ad esempio – tanto gli autori affermati – e qui metteteci il vostro preferito – ) bensì per comunicare le “solite cose” (ovvero quello che da sempre l’uomo cerca di comunicare con l’arte) ma facendolo con la lingua del nostro tempo: il digitale, declinato in tutte le sue forme, in tutti i suoi inconsci tecnologici, insomma nelle odierne molteplici “patine locali” possibili (che potranno essere sia una particolare PP che apporremo a tutte o a molte delle nostre foto – dal picture style, a sequenze di operazioni più complesse atte ad ottenere un certo effetto – ; sia il particolare “inconscio tecnologico” di un apparecchio che per varie ragioni ci permette un certo tipo di scatti/risultato – ad esempio un iPhone, ma anche un vecchio obiettivo montato su corpo digitale, ecc. – ). E questo non significa chiudere la porta al passato, anzi: la felice congiutura che ci permette di essere in un periodo di transizione dà a tutti noi la possibilità di scattare in analogico e in digitale. Ma non cerchiamo col secondo di ottenere le peculiarità del primo. Poi, visto che da lì è partita questa discussione, ritorno alle considerazioni iniziali che avete fatto sulla nitidezza (pdigiambattista: “E difficile con apparecchiature così chirurgiche ottenere immagini che hanno unanima!”). D’accordo con tutti quelli che rifuggono dalle rese sempre e comunque chirurgiche, penso, come rossomoto (il suo primo intervento, pag. 1), che la nitidezza (intesa come una delle tante possibilità espressive di cui un fotografo dispone) non abbia ancora trovato una collocazione ben precisa a livello semantico (non parlo della nitidezza in senso lato, ma di quella “irrimediabile” di un sacco di reflex e compatte). E questo perché per entrare nell’immaginario dei più come il-mezzo-per-dire-una-certa-cosa è necessario che in molti vedano la nitidezza utilizzata con quel determinato scopo. Mi spiego. Se (riprendo l’esempio di rossomoto) “l’impressione di de-umanizzazione della nitidezza estrema [fosse] usata nella foto di lavoratori-schiavi proprio per suggerire la precisa organizzazione di sfruttamento di queste persone”, ecco che allora questa “impressione” più o meno soggettiva potrebbe diventare, qualora a usarla in quella maniera fossero fotografi affermati (ovvero fotografi che raggiungono un grande pubblico), una sorta di codice espressivo privilegiato dell’alienazione e dello sfruttamento. Ora, vado di fantasia ma credo che le dinamiche siano verosimili, penso che col tempo, se accadesse ciò che ho detto, anche i produttori di apparecchi fotografici, diventati consapevoli che sempre più gente (e dunque sempre più potenziali acquirenti) associa la nitidezza a situaizoni spiacevoli, tenuto conto che moltissime persone comprano le fotocamere per immortalare attimi felici della loro esistenza, sarebbe fisiologico veder crescere il numero degli apparecchi “non chirurgici” messi in vendita: nuovi apparecchi progettati apposta con un inconscio tecnologico che meglio si confà alle aspettative del pubblico (Gian Mauro). E chissà magari a quel punto, dopo qualche tempo, ci sarà qualcuno che (legittimamente, come legittimamente e condivisibilmente pdigiambattista ha dichiarato certe sue perplessità sulla nitidezza…) su un forum di fotografia come questo lamenterà l’esiguità di apparecchi “chirurgici” in commercio, coi quali fare ad esempio dei buoni reportage sulle condizioni di vita dei lavoratori più sfruttati! Per provare a finirla a tarallucci e vino, vorrei tentare una sintesi sull’ultimo argomento di discussione, scaturito da una frase dell’interevento di Gian Mauro, ovvero dove dice che: “Alla luce di tutti questi discorsi, credo sia plausibile ipotizzare che qualunque cosa tu voglia far fare alla reflex in pratica è già stato pensato dal programmatore e dato che il mezzo è quello che è tu non puoi che generare immagini… di un certo tipo”. Bè, innanzitutto, in termini teorici, sono d’accordo con questa considerazione di Gian Mauro, ma va fatta la distinzione, ad esempio, tra una Holga o una Kodak Fun (personalizzazione limitata) e Canon 5D III. Distinzione che fa saiot (e che condivido) quando parla dei cubetti Lego o di letteratura “creata” da un elaboratore. Ma mi pare che qui le posizioni non siano poi così distanti. Tutti siamo d’accordo sulla necessità di cercare/usare lo strumento che più si confà ai nostri bisogni espressivi, o no?! E se parliamo di “inconscio tecnologico” penso che tutti possiamo essere d’accordo sul fatto che quanto più diventerà per noi, mi si passi la freddura, un “conscio tecnologico” tanto più avremo la possibilità di ottenere i risultati che cerchiamo (che credo sia quello a cui Marco allude quando suggerisce di “reinventarci un medium personalizzato per sfuggire a queste regole” [imposte da programmatore/progettista]; poiché qualsiasi personalizzazione passa attraverso conoscenza e consapevolezza; e proprio di consapevolezza parla rossomoto concludendo il suo ultimo intervento). Ciao!
Giugno 27, 2013 alle 4:12 pm #1770876Luppolo
PartecipanteOriginariamente inviato da lovis1: Non vi è mai stato nulla di inquadrato o prestabilito, sia per quel che riguarda l’analogico o digitale. Le nostre capacità o meglio potenzialità vanno sviluppate nel tempo come in qualsiasi disciplina. I fattori determinanti sono sempre quelli… sensibilità, intuizione e creatività… sono queste caratteristiche intrinseche in ognuno di noi che vanno sviluppate. Prima la chimica ed ora il software… dobbiamo renderci conto che sono semplicemente mezzi, e tali restano. A mio parere ognuno deve usare quello con cui si trova meglio, lo so è scontato ma i risultati migliori arriveranno così.
io la penso così… (o) edit: aggiungo che due fotografi, con la stessa macchina, la stessa lente, lo stesso soggetto, nello stesso posto e allo stesso tempo, arriverebbero molto probabilmente a due scatti completamente diversi. quindi non sono troppo convinto che il celeberrimo IT, seppur riconoscendo un fondo di verità nelle vostre affermazioni, sia così forte da influenzare il mio modo di scattare… GianMauro, tu hai una 5d2 come la mia, scatti spesso a 35 mm (a volte lo faccio anche io), usi con soddisfazione un 70-200 (a volte lo faccio anche io), eppure le nostre foto sono molto diverse.
Giugno 27, 2013 alle 9:16 pm #1770912Claudio
PartecipanteFilippo, personalmente assegno la preminenza all’autore piuttosto che al mezzo. Questo, almeno per me, è sempre stato fuori discussione. E anche laddove il mezzo riduce moltissimo lo spazio creativo dell’autore, non sarà mai un certo mezzo a farmi dire di una foto che è bella, toccante, significativa o interessante. Anche perché è sempre colui che scatta, più o meno casualmente, a scegliere il mezzo e a regolarne le impostazioni (o a scegliere di non farlo). Il discorso sull’inconscio tecnologico e sulla misura in cui ci può condizionare, viene dopo; dopo l’autore. E qui arriviamo di nuovo al discorso che fa Gian Mauro, discorso che condivido e al quale, come ho detto, a mio parere, vanno aggiunti i paletti che ha messo saiot nell’ultimo suo intervento. Rispetto a quanto ha scritto Filippo, l’esempio da prendere non è tra un Filippo e un Gian Mauro che hanno a disposizione lo stesso inconscio tecnologico (5d II e stessi obiettivi…). Infatti se in un caso come questo che Filippo ha ipotizzato l’inconscio tecnologico fosse così vincolante da condizionare i risultati suoi e di Gian Mauro rendendoli molto molto simili, allora parleremmo di “gabbia tecnologica” o di qualcosa del genere… Ma non è così. Ed è normale che F. e G.M. facciano foto diverse (normale ma non scontato; e succede perché sono entrambi due “autori” e non semplicemente due che lasciano tutto in mano al caso e alle impostazioni della macchina). La propria libertà creativa l’autore l’avrà sempre, e sempre potrà, anche se magari in modi diversi, ottenere risultati simili al proprio ideale: ieri c’erano autori che usavano una Holga (e qualcuno, più consapevole degli altri, la usava proprio per via della vignettatura); oggi ci sono autori che cercano un “effetto Holga” (che può essere già preconfezionato in un software oppure elaborato e suggerito dal buon rossomoto di turno). Ma quando l’autore usava una Holga quello era il mezzo e nella maggior parte dei casi non è che ci fosse la consapevolezza di far foto con quello che oggi chiamiamo “Effetto Holga”: chi scattava faceva le foto così… perché con quella macchina poteva farle o così… o così! L’inconscio tecnologico lo limitava. E sicuramente in molti non si rendevano nemmeno conto di quella limitazione. Mentre oggi con una 5D II puoi far foto senza vignettatura ma aggiungerla poi col la postproduzione. Hai meno limiti? Vero (ma questo vale per chi conosce bene la macchina al punto di saperla sfruttare a fondo; perché poi c’è pure chi scatta tutto in automatico con la 5D II…). La gamma delle opzioni di scatto che lo stesso autore ha a disposizione in più rispetto a quelle che aveva scattando con una Holga è cresciuto esponenzialmente? Vero. Ma questo non significa che i limiti non ci siano. Perciò se anche Filippo e Gian Mauro, pur con la stessa attrezzatura, fanno foto diverse, allora non significa che col digitale, rispetto all’analogico, l’invadenza dell’inconscio tecnologico sia minore o trascurabile. Semplicemente l’inconscio tecnologico ci condiziona (o “può condizionare”) in maniera diversa. E questo nuovo e opposto limite lo ha percepito pdigiambattista che si lamenta delle troppe impostazioni possibili con una DSLR che vanno a suo dire (ma non è il solo!) a discapito dell’immediatezza dello scatto. E accade così che alla DSLR si preferisca un iPhone. Così come può accadere che a un supermoderno zoom Canon stabilizzato, serie L, ecc. si preferisca un qualche Zeiss della propria collezione. E queste ultime scelte sono di chi se non dell’autore?! Ma, fatte in queste termini, non possono essere le scelte di un qualsiasi utilizzatore di fotocamere, bensì sono le scelte di un autore consapevole: consapevole a tal punto da farsi condizionare il meno possibile dall’inconscio tecnologico. Ciao!
Giugno 27, 2013 alle 9:20 pm #1770913Luppolo
PartecipanteOriginariamente inviato da clanon: Filippo, personalmente assegno la preminenza all’autore piuttosto che al mezzo. ….. Il discorso sull’inconscio tecnologico e sulla misura in cui ci può condizionare, viene dopo; dopo l’autore.
posizione (la stessa di Iovis1, in fondo) che ovviamente condivido e che non credo possa essere in discussione (o) edit:
Originariamente inviato da clanon: …. Infatti se in un caso come questo che Filippo ha ipotizzato l’inconscio tecnologico fosse così vincolante da condizionare i risultati suoi e di Gian Mauro rendendoli molto molto simili, allora parleremmo di “gabbia tecnologica” o di qualcosa del genere… Ma non è così.
allora forse devo rileggere meglio il post… :im
Giugno 27, 2013 alle 10:30 pm #1770929GianMauro
PartecipanteGrazie Clanon, hai compreso cosa volevo dire e hai notato la frase più importante: I concetti teorici sono solo teorici e la filosofia e la semantica applicata alla fotografia hanno solo il compito di liberarla dal programma….
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