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Febbraio 23, 2013 alle 5:17 am #1755212ClaudioPartecipante
Originariamente inviato da fra65: L’uomo sullo sfondo è descritto da Barthes come “punctum”, questa è una cosa positiva, che ci sia un punctum intendo dire, ma un punctum senza un soggetto forte (un’ottimo studium, tanto per rimanere in ambito Barthesiano) è come un bicchiere senza vino, il bicchiere non è il soggetto di una sana bevuta (piuttosto è l’ottimo vino) ma è altrettanto importante, perché rende prezioso il contenuto, lo arricchisce di qualcosa che c’è ma non si percepisce con la ragione, non si vede con la mente, “punge” l’osservatore senza che questo riesca a comprendere il motivo di tale interesse. Come dici tu, l’osservatore dopo la lettura del titolo e un’attenta e particolareggiata “lettura” dell’immagine, può comprendere il nesso tra il titolo e l’immagine, ma di certo non arriva subito, questo è dovuto anche ad una posizione decisamente sfavorevole dell’uomo, si fosse trovato in un punto della scena differente, ad esempio nel primo punto della regola dei terzi (quello in alto a sinistra) avrebbe goduto di un’esposizione enormemente più favorevole, questa tua foto è un chiaro esempio di composizione sbilanciata, visto che è tutto centrale, il piccione nasconde la sagoma dell’uomo, lo rende punctum, appunto Sul punto 2, trovo che le diverse realtà in ambito fotografico e più’ prettamente, in ambito artistico/fotografico, siano molteplici e che non si possa ricondurre tutto in un’unico percorso ideale, in ambito formativo, piuttosto che ludico o artistico. Nella mia frase ti avevo scritto che se avessi avuto più tempo probabilmente avresti trovato un’inquadratura (composizione) più efficace per esprimere ciò che provavi, ho scritto questo perché nel tuo commento avevi fatto notare che lo scatto era una logica conseguenza di un sentimento di solitudine provato osservando la scena, se la foto fosse stata diversa, guarda ad esempio la POWL di questa settimana di Mullahomark86, in questo caso non avrei scritto “provavi”, ma piuttosto “pensavi”, semplicemente perché l’approccio verso una disciplina come l’astratto geometrico comporta un distacco da tutto ciò che è emotivo e reale, invece la tua foto, per tua stessa ammissione, è tutt’altra cosa .. ciao [lo] [lo]
In attesa di leggere “La camera chiara” (Wikipedia mi suggerisce di cercar lì le categorie barthesiane che hai citato) e di capire con pienezza anche il significato di “punctum” e “studium”, torno sul tema della mia seconda considerazione, giusto per spiegarmi un po’ meglio. In effetti, come tu hai ben compreso, al momento dello scatto io ho davvero “provato” il sentimento di solitudine che poi ho tentato di rappresentare. Quel che volevo sottolineare però, usando in fondo le tue parole più che altro come un pretesto, è che l’elemento pensato (l’elemento cioè di elaborazione razionale) ci può (e naturalmente scrivo “può”, non “deve”) essere benissimo anche quando si fa uno scatto come il mio (e non solo quando se ne fa uno astratto come quello di Mullahomark86); e può essere che sia addirittura esclusivo questo aspetto, cioè lo scatto può essere solo “razionale” e niente affatto “partecipato” anche qualora la foto abbia come oggetto un sentimento che generalmente implica partecipazione nell’osservatore. Questo perché, alla fine, il risultato sarà sempre una foto che l’osservatore percepirà allo stesso modo: sia che l’autore abbia provato oppure no il sentimento rappresentato. Ciò che è sufficiente è che l’autore abbia coscienza di come (e qui entrano in gioco cultura, tradizione, ecc.) l’osservatore generalmente percepisce un determinato soggetto o una determinata tecnica (abbia coscienza delle convenzioni interpretative insomma). E infine quando distinguevo tra “fotoamatore” e “fotografo-artista/artigiano” non lo facevo per ridurre gli ambiti di azione dell’uno o dell’altro (penso infatti che, in linea teorica, siano in tutto e per tutto sovrapponibili ed onnicomprensivi) ma volevo semplicemente rilevare un diverso approccio: generalmente il fotoamatore proprio perché fotografa per piacere sceglie scene/soggetti/situazioni che si accordano con la sua sensibilità, mentre l’artista (pur assecondando sempre la propria poetica, dunque la propria visione del mondo) ha a volte la necessità di eseguire singoli scatti che contengono messaggi che magari non condivide, ma che sono però funzionali nel sistema più generale della sua opera (che può essere un reportage, un libro o una raccolta o ancora l’intera sua produzione). Grazie ancora Franco per i tuoi interventi, ciao! PS: ovviamente “fotografo-artista/artigiano” e “fotoamatore” sono solo due signifcanti: quel che conta è il significato (e ho cercato di descriverlo nella mia breve spiegazione) che gli si associa.
Febbraio 24, 2013 alle 7:12 am #1755333FrancoPartecipanteCerto Claudio, nell’esecuzione e nell’osservazione di una foto possono concorrere diversi elementi, razionali o irrazionali e addirittura provenienti dalla sfera del subcosciente. A dire il vero ho volutamente eclissato alcuni concetti che hai espresso nel precedente intervento; visto l’ampiezza dell’argomento trattato e le molteplici implicazioni ho preferito evitare il ginepraio di premesse e considerazioni, però In buona parte condivido quello che scrivi, mi soffermo sulla terminologia da te utilizzata per differenziare il fotoamatore e il fotografo-artista/artigiano, a mio parere la distinzione è troppo “transitoria”, il fotoamatore è generalmente incline all’arte (quindi fotoamatore e fotografo/artista a mio parere sono sinonimi), a differenza del professionista (il contrario del termine “fotoamatore”) che come fine (e non come attitudine), tende a produrre un (semplice) documento. anche se i ruoli non sono sovrapponibili, le spinte che portano il fotografo ad eseguire lo scatto sono estremamente soggettive, influenzate dalla cultura e dalla preparazione del singolo individuo. Per il mio modo di vedere quello che differenzia il fotografo artista dal fotografo documentarista, non è tanto il risultato (la foto in sè) ma la finalità. Penso che il fine di quasi tutti i fotoamatori è fare fotografia artistica, non tutti ovviamente, ma quasi tutti. Questo non vuol dire essere artisti oppure fare arte ad alto livello, ma semplicemente finalizzare il risultato per cercare di ottenere foto che parlano un linguaggio condiviso da altre persone, che si aspettano di trovarsi di fronte un prodotto con un valore estetico, prettamente artistico. Il fotografo interpreta la scena, l’osservatore di una foto interpreta la scena presente nella foto, la differenza è sostanziale, mentre nel primo caso la scena è immanente e le variabili vengono definite dal fotografo e dal tempo, oltre che dall’attrezzatura (vedi “incoscio tecnologico”), nel secondo caso, l’osservatore nell’interpretare la scena che ha di fronte è vincolato da una sola variabile, quella definita dalla sua preparazione tecnico/culturale su argomenti sociali o nello specifico, in materia di tecnica fotografica. Quello che voglio dire, per allacciarmi a quello che hai scritto, è che, l’esperienza vissuta dall’osservatore di una foto è sempre una riduzione dell’esperienza vissuta dal fotografo, ma sostanzialmente è molto differente, quando l’osservatore guarda una foto e come se il tempo fosse sospeso, imperscrutabile, fermo nell’attimo congelato dall’otturatore. Questo consente una più forte razionalizzazione della scena, in una foto l’osservatore può scrutare, valutare e considerare (con la ragione) gli elementi nella scena per tutto il tempo che vuole. Invece il fotografo vede la scena come in un film, il suo compito è quello di conservare un solo frame, quello giusto, quello che arriverà all’osservatore per questo motivo, ma non solo, rispetto l’osservatore il fotografo ha maggiore difficoltà ad interpretare il soggetto in modo razionale, e proprio per questo motivo alcuni generi fotografici sono molto più difficili, soprattutto per chi non è abituato a vedere ed interpretare il soggetto con il filtro della ragione. Ciò che divide il fotoamatore dilettante dal fotoamatore evoluto, è la maggiore capacità di quest’ultimo di sezionare e manipolare gli elementi della scena fotografica, oltre alla capacità di porsi una finalità, un’obbiettivo artistico; invece il fotoamatore dilettante nella maggior parte dei casi è trascinato da forze esterne rispetto la sua volontà, in altri termini si lascia trascinare dagli eventi, li vive ma non è in grado di interpretarli, è oggetto in causa, “semplice” testimone degli eventi. Ritornando a noi, la foto di questo topic, a mio parere, mi ripeto, ha alcune difficoltà, alcuni ostacoli che gli impediscono di essere compresa in modo compiuto, questi ostacoli possono essere definiti in ambito tecnico. A mio parere il linguaggio tecnico utilizzato non è consono per veicolare in modo appropriato un messaggio, che è quello di infondere solitudine nell’osservatore, oppure di rappresentarla (la solitudine); nel primo caso il messaggio non viene percepito dai nostri sensi, nel secondo caso ha difficoltà ad arrivare al nostro emisfero razionale. Indipendentemente dalle impressioni (empiriche) di ognuno di noi, che ovviamente hanno valore soggettivo, ci sono delle motivazioni tecniche (e qui non si scappa) che dicono chiaramente che la foto richiedeva alcuni accorgimenti per raggiungere determinati risultati, ovviamente quando si parla di risultati non dobbiamo pensare che questi siano unanimemente condivisi, stiamo parlando di regole e tecniche che hanno come scopo ottenere un risultato percentualmente ottimale, in fotografia, come in arte, sappiamo bene che non esistono leggi universali, ma “linguaggi” più o meno appropriati ciao [lo]
Febbraio 27, 2013 alle 4:10 pm #1755757ClaudioPartecipanteCiao, ero ai seggi come scrutatore in questo fine settimna e mi son perso la tua risposta. Sì, in effetti, soprattutto quando si fanno distinzioni terminologiche, più si vuole far passare un punto di vista leggermente diverso da quello tradizionale, più bisogna tirare in ballo tante definizioni che normalmente si danno per scontate. Le tue precisazioni classificatorie sono più che condivisibili e certamente più coerenti delle mie. E perciò mi trovo pienamamente d’accordo. Ma infatti quel che ho cercato di fare opponendo quei due termini (“fotoamatore” vs “fotografo-artista/artigiano”) era solo un tentativo di far passare una piccola distinzione, una sfumatura: quella per cui si può fotografare – sia con finalità artistiche che documentaristiche – senza necessariamente dover partecipare di ciò che è oggetto della rappresentazione. E d’accordo sono anche sulle difficoltà del fotografo rispetto a quelle dell’osservatore. Ora lascio spazio a una piccola “confessione” per spiegarmi meglio e spiegare meglio anche alcune mie incertezze (o apparentemente inspiegabili puntualizzazioni) nei commenti: tra le arti (ovvero tra i linguaggi artistici) cui mi sono maggiormente accostato nel tempo ci sono stati principalmente la letteratura e, in misura minore, cinema e poi pittura. Non la fotografia dal punto di vista teorico e critico. E, per quanto i discorsi generali sull’arte si possano fare astrattamente, senza preoccuparsi troppo del medium, è pur vero che “regole e tecniche” di ciscun linguaggio rendono certe considerazioni più o meno importanti a seconda del medium che viene utilizzato dall’artista/autore. La letteratura o il cinema, ad esempio, hanno solitamente dei tempi di progettazione molto più lunghi della fotografia. Riallacciandomi poi alla tua efficace metafora del fotografo come selezionatore di frame (che trovo calzi perfettamente soprattutto per generi come quello street cui credo il mio scatto si possa accostare o, ad esempio, per gli scatti sportivi; meno adatta invece a descrivere le foto in studio o le elaborazioni, più simili per i tempi di progettazione alla composizione di un dipinto), io ho selezionato certamente un frame poco imediatamente comprensibile per gli aspetti che già abbiamo discusso (posizione dell’uomo solitario; sfocato troppo eccessivo; ecc.). Un’ultima (promesso!) considerazione (non da opporre a quanto hai detto tu, ma che trovo sia complementare) è il discorso sull’autorità del fotografo (io penso ora a certe pagine di Foucault, ma basterebbe riferirsi all’etimologia del termine): ovvero quella legittimazione che deriva da qualcosa che già è stato dimostrato. E allora, di fronte a una foto poco riuscita di uno-che-le-foto-le-sa-fare-bene-e-che-lo-ha-già-dimostrato, chi ha una buona autocoscienza critica si sforzerà di dare un giudizio equilibrato nonostante sappia che di solito quell’autore le foto le scatta bene. Ma è pur vero (e penso che questo non sia nemmeno sbagliato o controproducente per l’esito della critica) che a quell’autore, che già gode di autorità, si è più inclini a concedere la trasgressione della regola (pensando che sia volontaria e non frutto di un’imperizia tecnica), proprio perché ha già dimostrato coi suoi precedenti lavori di conoscere perfettamente regole e tecniche del linguaggio utilizzato. Ciao!
Aprile 15, 2014 alle 2:02 pm #1801403RiccardoPartecipanteUff! [scr] ..quanto avete scritto! Ora il problema è ricordarsi tutto .. [inc]
Sarò breve:
Non condivido quanto scritto da Rossomoto riguardo la vicinanza, o meno, all’uomo, di una determinata specie animale rispetto ad un’altra, che possa far diversamente interpretare l’immagine, anzi. Nel caso specifico, credo che il titolo “solitudini” possa essere, anche, inteso come “tutti possono sentirsi soli, anche un piccione”, escludendo del tutto la figura dell’uomo sullo sfondo.
Personalmente la sensazione di solitudine mi è data dall’occhio dell’animale, dalla sua espressione, per me è molto meno scontata così, piuttosto che il classico raffronto tra la figura in primo piano e quella in lontananza (ma, ribadisco, sono mie sensazioni).
La cosa più interessante, resta, comunque il fatto che si parli, ci si confronti, riguardo gli aspetti emozionali e non esclusivamente tecnici di un’immagine.
Claudio, a me la foto arriva e mi trasmette quello che, presumo, volevi trasmettesse.
[lo]Aprile 15, 2014 alle 4:54 pm #1801419ClaudioPartecipanteInnanzitutto grazie per la lettura che hai avuto voglia di sorbirti… tutta d’un fiato!
Ti ho invitato a guardare questa foto proprio perché sono io il primo a non considerarla pienamente riuscita. Come hai potuto capire leggendo, il motivo non sta nella quantità di apprezzamenti che posso aver o non aver raccolto (ok, sì, anche quello può contare e naturalmente fa piacere ma solo se, a me autore, interessa proporre degli scatti che siano “popolari”, nel senso di graditi ai più). Al contrario però, il piano del discorso che già nell’altra tua discussione ho voluto toccare è invece esclusivamente quello legato alla possibilità di comunicare un messaggio in maniera quanto più possibile chiara e precisa, senza dover ricorrere ai “per me” degli osservatori sperando che la loro sensibilità possa condurli a percezioni (molto) prossime alla mia. E’ in questo senso che gli “aspetti tecnici” (ovvero tutto ciò che l’immagine mostra e il modo in cui l’autore ha scelto di mostrarlo) non sono fine a se stessi ma rappresentano l’unica maniera per sollecitare con una certa prevedibilità/oggettività gli “aspetti emozionali” di ciascun osservatore. Del resto, anche così facendo, non è che l’osservatore rimanga poi imbrigliato nella proposta dell’autore: infatti sarà sempre libero, una volta compreso il messaggio, di non apprezzare lo scatto per motivi di contenuto o di forma legati al proprio gusto personale. Altre volte ancora (e di solito ciò accade con gli scatti cosiddetti artistici) l’autore sceglie di non imporre chiaramente un messaggio proprio perché non vuole vincolare a una lettura univoca della foto. Ma in casi così allora anche il titolo dovrà essere in accordo con queste premesse (quindi neutrale e non proporre una certa lettura), pena la possibile incoerenza tra contenuto dell’immagine e titolo. Che è poi l’unica cosa che “rimprovero” al mio e al tuo scatto. Ciao!
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