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Voi, cosa ne pensate?

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  • #1798040
    gabriele77
    Partecipante

    salve a tutti, qualche giorno fa mi sono imbattuto in questo articolo di Michele Smargiassi, e su invito di Franco (Fra65) apro l’argomento:
    http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2014/03/03/ho-visto-questo-guarda-anche-tu

    per quello che mi riguarda l’ho trovato molto interessante, ma ciò che più ha attirato la mia attenzione è stato questo passaggio:
    ”Ma serve a garantire che quella che stiamo condividendo sia un’immagine che rende visibile e comunicabile ad altri uno sguardo buttato sulle cose, e non un immaginario maturato nella mente. Questa è la vera differenza fra fotografia e pittura, non la loro verosimiglianza (esistono pitture iperrealiste, e fotografie pittoriche).”
    Precisamente:”… uno sguardo buttato sulle cose, e non un immaginario maturato nella mente. Questa è la vera differenza fra fotografia e pittura, non la loro verosimiglianza.”

    Voi cosa ne pensate? Intanto io rifletto
    [lo]

    #1798043
    fotoit
    Partecipante

    Non posso che condividere ma purtroppo oggigiorno si è perso il concetto di fotografia vera e propria e spesso si vedono foto che di fotografico hanno molto poco, completamente trasformate in pp, proprio qualcuno su questo sito tempo fa esprimendo un concetto simile mi rispose che la foto è una foto sempre perchè è stata scattata con una fotocamera, secondo molte persone questo basta per dire che è una foto ma non per me.

    #1798055
    filippo
    Partecipante

    se una foto la guardi per 2 secondi o meno e stata scattata con una macchina fotografica
    se la guardi da 2 a 15 secondi è una foto
    se la guardi da 15 a 30 secondi è una gran foto
    se la guardi da 30 secondi a 1 minuto è una bellissima foto
    se resti a guardarla per più di un minuto allora è un capolavoro,
    ovviamente poi la cosa è soggettiva e i tempi possono variare da persona a persona, ma se
    la guardi cmq per meno di 2 secondi hanno ragione loro è una foto scattata con un macchina fotografica…
    non hanno detto che si tratta di un capolavoro

    #1798064
    marcom12
    Partecipante

    a volte la guardi per tanto tempo perchè non riesci a capirla ….non ti piace del tutto e non sai perchè…… (n)
    hahahahaha
    e poi per meno di 2 secondi solo se è scattata con il cellulino che si crede una macchina fotografica (o almeno lo crede il possessore) [sci]

    In ogni caso quoto quanto scritto da fotoit [app]
    buona luce

    #1798075
    Claudio
    Partecipante

    L’articolo accenna a tante questioni, soprattutto teoriche. Quelle questioni che vengono prima o dopo le fotografie insomma. E le teorie sono di solito uno scrupolo da studiosi. Quella cosa molto bella che quel tale ha fatto elaborando quel file che aveva ottenuto puntando la webcam del portatile verso il mare e la spiaggia e poi stampando il file su della carta speciale e… cos’è?! Ammesso e non concesso che sia arte (visto che l’arte non sta nell’opera ma nelle aspettative di chi la guarda), di quale studioso sarà mai pertinenza di studio? Di chi ha la cattedra in fotografia? O di chi insegna storia dell’arte? O di un docente di estetica? Ma, ditemi un po’, al fotografo-analogico o al pittore-tela-e-pennello o al digital-foto-pittore, in fondo, e nemmeno troppo infondo, che importa di sapere che tipologia di studioso eventualmente studierà la propria opera?!

    Il bisogno di mettere quella cosa-là-fatta-con-la-webcam-ecc. nel posto giusto, nella casellina giusta, con l’etichetta di genere giusta, è un bisogno tutto sbilanciato verso chi archivia, sceglie, giudica, critica, storicizza: gli studiosi, gli studiosi di professione.
    Ora non mi si fraintenda: non è un male tutto questo organizzare, tracciare linee di confine, pertinenze, identità e differenze, varianti e costanti. Personalmente trovo la teoria dell’arte (l’estetica) affasciante e al tempo stesso molto interessante, ma resta quello che è: un tentativo di catalogare, organizzare quello che è stato arte fino a quel momento e al massimo tentare di ipotizzare cosa sarà arte in futuro. E la teoria della fotografia cos’è? La stessa cosa; occorre solo sostituire la parola “fotografia” alla parola “arte”.

    Smargiassi, l’autore dell’articolo cita Duane Michals che definisce “foto-fascista” chi voglia definire cosa sia la fotografia. Lui, Michals, che non trovando posto nelle classificazioni altrui (troppo stringenti per immagini come le sue) si è ribellato alle definizioni razziste che escludevano le sue immagini di razza impura. E si è ribellato tacciando di “foto-fascismo” chi volesse “definire la fotografia”. Ma come? Anche la sua posizione è paradossale. Non ci rendiamo conto che dire che la fotografia non è definibile significa ugualmente dare una definizione di fotografia?!

    Il problema non sta nel dare o non dare una definizione di fotografia, perché volenti o nolenti una definizione la si dà. Il problema sta nell’avere il coraggio di riconoscere che tutto, a partire dal concetto di fotografico (un concetto inventato, culturale, storicizzabile, come il bel titolo del libro di Federica Muzzarelli – “L’invenzione del fotografico” – icasticamente ci dice), è frutto di un punto di vista, di un modo di vedere le cose.
    Nello specifico della fotografia, si tratta di un punto di vista non onnicomprensivo, per quanto aspiri sempre ad esserlo. Un punto di vista che può inglobare il passato e il presente, ma che il futuro lo può solo immaginare. La teoria della fotografia (e il discorso vale per qualsiasi teoria) avrà bisogno di riaggiornarsi ed allargarsi ogni volta che una nuova fotografia si porrà appena fuori dal confine prima tracciato. Bisognerà allargare il confine e magari facendolo ci si accorgerà che si sta invadendo lo spazio di un altro dominio (ad esempio quello della pittura) che a sua volta sta allargando i suoi propri confini.

    E allora, una volta che siamo consapevoli che questo è più un esercizio da critici/storici/studiosi piuttosto che da autori/fotografi/artisti come possiamo risolvere il problema (teorico) che da un lato ci porta ad allargare potenzialmente all’infinito i confini del fotografico e dall’altro ci impone di mettere dei paletti per sapere quantomeno dove ci troviamo in questo sempre più sterminato mondo della fotografia?
    E visto che il problema è teorico chi può venirci in aiuto se non la teoria. La teoria di una disciplina classifica attraverso una sorta di relativismo inglobante: non c’è moralismo nelle teoria, non ci sono tassonimie nella teoria, essa accetta sempre tutte le forme e lo fa senza giudicare positivamente o negativamente. Nella scienza, al contrario, c’è una definizione/legge e solo i fenomeni o gli elementi che rispondono a quella legge o che posseggono determinate proprietà vengono fatte rientrare in una determinata categoria. La teoria no, accetta tutte le forme non a partire da una definizione (una definizione che di solito, per quanto condivisibile, finisce per essere poco interessante ed è poco interessante perché ci dice assai poco; un po’ come la definizione che Smargiassi ha inserito su Wikipedia e che lui stesso ammette che non porta molto lontano). Anziché partire da una definizione la teoria arriva persino a modificarla la propria definizione, arriva a modificare la propria ontologia, e lo fa nel momento in cui ciò si rivela necessario per inglobare nuove forme, nuove forme che la cultura (per diversi motivi) tende ad associare a quel determinato dominio già esistente. E’ quello che è accaduto col passaggio alla (o meglio dovremmo dire con l’inclusione della) fotografia digitale. E qui si aprirebbe un altro discorso che però non proseguo.

    Se l’approccio della teoria è quello di un relativismo che non fa distinzioni di gusto, l’approccio dell’esecutore (fotografo, artista) è tutto l’opposto: le distinzioni lui le fa eccome! E allora arriva il fotografo fotoit che ti dice che per lui la fotografia è una certa cosa (e aggiunge coerentemente che è consapevole che per altri può essere ed è qualcos’altro). E il fotografo fulezone fa lo stesso e ti spara fuori una scaletta definitoria precisa al secondo! Tutti noi abbiamo una nostra idea di fotografia nel momento in cui ragioniamo da fotografi, in prima persona. Il teorico coerente, cioè colui che da teorico non si voglia solo mascherare, invece non ha una posizione forte, ma non ce l’ha semplicemente perché deve essere aperto a tutte le idee di fotografia che si possano anche solo immaginare!

    In conclusione, l’errore in cui si potrebbe incappare è dunque quello di credere che ciò che dice Smargiassi nel momento in cui dà quella definizione che a te Gabriele è piaciuta tanto (ovvero della fotografia come “uno sguardo buttato sulle cose, e non un immaginario maturato nella mente”) corrisponda alla definizione che una teoria della fotografia può oggigiorno fornire. Non si tratta di niente del genere perché Smargiassi non è un teorico (né del resto dice di esserlo!) bensì è un critico militante, portatore sano di un’idea parziale e faziosa di fotografia. (E per il discorso che ho condotto sin qui, parlare di critico militante è ovviamente la stessa cosa che parlare di autore-esecutore: in entrambi i casi infatti si dà una definizione volutamente parziale di fotografia, vincolata al proprio punto di vista).

    #1798119
    filippo
    Partecipante

    “”a volte la guardi per tanto tempo perchè non riesci a capirla ….non ti piace del tutto e non sai perchè…… (n)
    hahahahaha
    e poi per meno di 2 secondi solo se è scattata con il cellulino che si crede una macchina fotografica (o almeno lo crede il possessore) [sci]””

    Avvolte la guardi perchè non riesci a capirla e non ti piace del tutto, magari non ti piace del tutto ma poi ti piace… Come una donna che inizialmente non ti piace ti sembra antipatica ma poi piano piano sai quel qualcosa che alla fine te ne fa innamorare, non è una top model ma resti li a fissarla per ore perchè alla fine della top model ti sei rotto e la top model la guardi per meno di due secondi

    #1799413
    gabriele77
    Partecipante

    Grazie a tutti per gli interventi…

    @Clanon
    : ho letto con interesse il tuo intervento che mi ha suscitato ulteriori considerazioni, aspetto che sedimentino un pò…grazie ed a presto.

    #1799989
    Franco
    Partecipante

    Ho eclissato le domande di Gabriele perché richiedevano alcune premesse che sul momento mi apparvero troppo complesse per essere espletate in modo chiaro e semplificato, soprattutto in considerazione del mezzo utilizzato, la scrittura sul web, decisamente meno pratica rispetto il dialogo parlato. Consigliai la lettura di “la camera chiara” di Barthes poiché in essa avrebbe trovato molte risposte.
    Ad oggi non sono riuscito a rileggere l’interessante e lungo dibattito nato intorno l’articolo di Smargiassi, ma ho riletto il manifesto iniziale e su questo mi regolo per trarre alcune considerazioni.

    Molti anni fa su canoniani ebbi modo di affrontare l’argomento con un’amico, Claudio, Acrobat, in alcuni topic finiti chissà dove nei meandri del sito e che facevano capo alla necessità di definire il campo del fotografico.
    Sintetizzando, la mia risposta fu: possiamo suddividere 3 campi dove il fotografico svolge la sua azione, la fotografia descrittiva, la fotografia artistica, l’arte fotografica. Nei primi due casi l’accezione comprende il termine “fotografia”, nel terzo caso si parla solo di “fotografico” come limitazione del termine “arte”.

    Con quest’articolo Smargiassi mi conferma la validità di alcune teorie, che il termine fotografia è un’alchimia di fenomeni tanto differenti quanto indissolubilmente uniti , la cui definizione si confà alla suddivisione poco sopra esposta che vede escludere l’arte fotografica dall’accezione del termine fotografia e tende a suddividere i due aspetti primari di cui la fotografia è composta, la f. meramente descrittiva dove l’intervento dell’autore è ininfluente sul soggetto ed è un compito dove tecnica e tecnologia svolgono un ruolo preponderante e la f. dove l’intervento è finalizzato ad un dialogo, in quest’ultimo caso la forma fotografica assume le intenzioni di linguaggio visuale, il fine ultimo non è l’immagine in se ma il messaggio che è in grado di veicolare, -comunicare- al potenziale osservatore.

    Ma ritorniamo alle affermazioni di Michele Smargiassi, innanzi tutto consideriamo il campo di applicazione delle teorie che andremo ad esporre, mettiamo in chiaro che stiamo discutendo di un neologismo riferito ad una descrizione che riguarda aspetti semantici, in altri termini, l’argomento non è direttamente riferito ad eventi e cose reali ma bensì ad un’ambito prettamente filosofico, e nello specifico di natura ontologica, sull’applicazione di un nome a noi molto caro: fotografia.

    Sostanzialmente Smargiassi afferma:
    Non esiste una definizione plausibile di “fotografia”, ma se proprio vogliamo trovarla, dobbiamo cercarla nella condivisione sociale di una visione individuale delle cose del mondo fisico, senza dimenticare l’indispensabile apparato tecnologico formato dall’apparecchiatura fotografica, che funge da tratto distintivo.
    In sostanza rileva alcuni fattori determinanti che riconducono in modo inequivocabile al concetto di fotografico, (ri)definendo un breve postulato equamente condiviso da tutti.
    Schematizzando potremmo arrivare al seguente assioma che definisce il mezzo e il fine della fotografia:

    La fotografia è l’insieme di:
    – tecnica e tecnologia applicata (mezzo)
    – condivisione del risultato ottenuto (fine)

    Ed è proprio dal concetto di mezzo & fine che le teorie di Smargiassi prendono corpo.
    La relazione esistente tra il “mezzo” fotografico (semplificando, per amor di sintesi che non può render onor al vero: la fotocamera!) e il “fine” ultimo dell’oggetto proposto dal mezzo (ottenere uno “sguardo sul mondo” facilmente condivisibile) è sostanziale, da una parte il mezzo è “rigido”, mentre il “fine” è “aperto” e lascia campo a diverse interpretazioni.
    Va detto che stiamo parlando di due entità, la tecnica fotografica e la condivisione del risultato ottenuto, completamente estranee tra loro, con la stessa relazione che passa tra una pietra ed un’essere umano. Il risultato di quest’improbabile coniugazione è pertinente “all’arte”, guarda caso fortemente legata alla fotografia, l’arte interpone il mezzo ad un fine per ottenere un risultato, lo scultore prende una pietra e vi scolpisce una forma in grado di veicolare (condividere) le fattezze di una realtà -condivisibile- ovvero, facilmente e realmente veicolabile, ad esempio le fattezze umane di un mezzobusto.
    Lo scultore cosa fa? cerca il blocco di pietra ideale, prende degli utensili adatti e crea una scultura, in altre parole dalla materia crea una forma attraverso apposite tecniche e attrezzi/apparecchiature.
    Il fotografo svolge un compito simile al lavoro dello scultore, cerca il giusto blocco di pietra (o altro materiale, legno, vetro, plastica….) prendendolo in prestito dal mondo circostante e da esso crea un’oggetto completamente diverso con una forma propria (la scultura per lo scultore, la fotografia per il fotografo).
    Detto questo è necessario rilevare, e qui mi riallaccio all’affermazione di Smargiassi che aveva colpito Riccardo, per cui:
    (la presenza di un’apparecchiatura fotografica) “serve a garantire che quella che stiamo condividendo sia un’immagine che rende visibile e comunicabile ad altri uno sguardo buttato sulle cose, e non un immaginario maturato nella mente. Questa è la vera differenza fra fotografia e pittura, non la loro verosimiglianza”
    in questa frase l’autore vuole smentire l’ipotesi che la somiglianza dell’opera con l’oggetto raffigurato (sia esso una foto oppure un’opera pittorica, ad esempio) possa essere sintomo di un distinguo tra fotografia e pittura, associando al protocollo di cattura dell’immagine (“la fotocamera”) le responsabilità sull’attributo del termine fotografia ad una qualsivoglia immagine.

    Bisogna notare che entrambe le forme artistiche possono assumere connotati realistici ma alla fotografia viene associato uno status diverso.
    Socialmente parlando, la fotografia testimonia l’hic et nunc di Barthes, il “qui ed ora” dell’evento ripreso, attesta che in uno spazio di tempo limitato si è verificato quello che noi in questo momento possiamo osservare nell’immagine, per Barthes è la prova che la fotografia “aderisce” al referente a tal punto che nel suo saggio più famoso, la camera chiara, non prende in minima considerazione l’autore della foto, ma considera solo l’immagine che gli si pone davanti, poiché essa è l’unica testimone di ciò che è stato.
    A differenza di altri pensatori nega l’esistenza del linguaggio fotografico relegando quest’ultimo ad una forma collaterale non strettamente legata all’immagine stessa, anche se condizionata da altri fattori, ad esempio il titolo di una foto che può influenzare l’osservatore sia pur con un mezzo, la scrittura, totalmente avulsa dal linguaggio visivo dell’immagine in se.

    E’ difficile immaginare una ridefinizione del termine fotografia senza prendere in considerazione una serie di provocazioni di natura decostruzionistica, e come si conviene in tutte le provocazioni che tendono a mettere in dubbio una realtà affermata a favore di una realtà poco conosciuta e spesso misconosciuta, rinnegata, contestata ed ignorata, raramente troveremo una verità assoluta, ma semplicemente più “conveniente” di altre.
    Molti fotografi fanno fatica ad accettare che l’essenza ultima di quella cosa che siamo abituati chiamare fotografia non è un prodotto maturato nella loro mente, ma bensì un protocollo che parte da uno sguardo buttato sulle cose frutto di un’interazione di molteplici fattori dove l’intervento del fotografo è spesso marginale.
    Cos’è dunque la fotografia? uno sguardo buttato sulle cose da parte del fotografo, da parte del mezzo fotografico, da parte dell’osservatore? si, probabilmente è tutto questo…..

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