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gloster1974 – Fotografia Ortocromatica

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Il mio viaggio nel mondo della fotografia ortocromatica inizia grazie alla mia dote innata di voler sperimentare per capire e dalla mia inesauribile voglia di imparare dalla storia.

Un viaggio che per me dura quattro mesi intensi pieni di soddisfazioni e ovviamente anche di qualche piccola delusione , quest’ultima purtroppo legata ai tempi moderni e allo scarso interesse da parte dei fotografi e non meno da parte dei produttori di emulsioni che non trovano un giusto rientro dalla vendita di tali supporti speciali.

Un vero peccato perche’ una volta capita e una volta provata ( con il giusto metodo ) la si ama alla follia.

L’ ortocromatica fa parte della storia della fotografia come una pietra miliare poiche’ madre di scoperte illuminanti che hanno poi portato alla nascita delle pellicole dei giorni d’oggi.

Molti autori famosi tra la fine del 1800 e la meta’ del 1900 hanno potuto apprezzare le doti di questa emulsione tra cui ne citero’ uno in particolare che mi sta molto a cuore;

Ansel Adams:

“Un film ortocromatico può dare a un paesaggio un aspetto più luminoso, in quanto il verde del fogliame viene reso con tonalità relativamente chiare, paragonabili a quelle che ci appaiono visivamente”.

Partendo da queste parole la mia curiosità mi ha spinto ad indagare per capire le motivazioni di questa affermazione e per riportare alla luce un’esperienza del passato.

Successivamente la mia ricerca mi ha condotto alla scoperta un un libro che per un colpo di fortuna mi sono aggiudicato ad un prezzo bassissimo, il libro in questione e’ quello raffigurato qua sotto.

 

Si tratta di un manuale del 1896, solo leggendolo si capisce e si apprezza il fascino di questo scritto dei termini utilizzati e dei suoi contenuti.

Citazione dalla Prefazione del libro.

Fra i mezzi di cui noi disponiamo per riprodurre la Natura, eccelle di gran lunga sugli altri la fotografia per le sue doti meravigliose di semplicita’ e generalita’. – Le forme più fuggevoli hanno trovato in lei chi le eterna : le più rare, chi le divulga : le più nascoste, chi le rivela. – E’ l’onnigrafia.

Eppure una prova fotografica ordinaria e’ ben lontana dall’essere sotto ogni aspetto una fedele riproduzione dell’originale : talora questo vi e’ assolutamente falsato.

Riprodurre un esatto chiaro scuro e’ da sempre lo scopo di chi ama la fotografia in bianco e nero ma purtroppo data la differenza di risposta delle superfici degli oggetti questo richiederebbe un diverso tempo di esposizione per ogni singola superficie , questo e’ impossibile anche al giorno d’oggi se non in scene con poche variazioni cromatiche.

Ancora oggi mi capita di leggere di fotografi delusi dalla non corrispondenza dei colori delle proprio foto scattate con le nuove macchine digitali ma non e’ un nuovo male legato solo al nuovo mondo della fotografia bensì un problema che possiamo datare esattamente con l’inizio della fotografia e sempre leggeremo di questo
problema.

Ora un po’ di storia

1884 per la prima volta nella storia della fotografia si adotta il termine ortocromatico ad emulsioni che come caratteristica hanno un enorme vantaggio , ovvero quello di estendere la sensibilita’ dello spettro solare ai colori giallo e verde che fino ad allora erano difficili da riprodurre.

Da sempre l’intento dei fotografi e dei chimici a quei tempi era quello di trovare una formula che permettesse la produzione di emulsioni che catturino i colori , una caratteristica al giorno d’oggi banale e semplice ma non dimentichiamo che stiamo parlando della fine del 1800.

Qua sotto una tabella del 1896 che mostra chiaramente la differenza di lettura tra l’emulsione tradizionale di quell’epoca e quella ortocromatica.

Purtroppo nei primi tempi l’ortocromatica era molto costosa e per questa ragione per pochi fortunati.

Grazie all’avvento dell’ortocromatica e alla possibilita’ di estendere la gamma dello spettro si aprivano nuovi orizzonti per i fotografi di allora , specialmente pe chi amava la fotografia naturalistica , e da quel momento la ricerca sulle emulsioni accellero’ a tal punto che dopo pochi anni nacque la famosa pancromatica , supporto
tutt’ora in uso.

Le ricerche sul suo uso corretto portarono ad una conclusione per un utilizzo universale , ovvero ponendo davanti all’obiettivo una lastra giallo/arancio secondo il principio di Voger.

Hermann Wilhelm Vogel chimico tedesco classe 1834 sin dal 1865 si dedico’ alla sperimentazione sui supporti disponibili allora, alla ricerca dei diversi comportamenti in relazione alle sostanze aggiunte.

Gia’ un altro chimico tedesco Schultz Sellack lavorava seguendo quella strada ma alla fine delle sue sperimentazioni giunse a conclusione che non vi erano sostanze capaci di variare la risposta delle radiazioni sui supporti testati ma Vogel giunse a ben altra conclusione quando quasi in modo casuale si accorse che una parte dell’emulsione testata inquinata da una sostanza gialla , probabilmente presente nell’antialo , rese l’emulsione piu’ sensibile al verde piuttosto che al blu.

Approfondendo la ricerca arrivo’ poi ad aggiungere elementi come la corallina e ottenne una risposta eccellente al giallo e cosi’ proseguì le sue sperimentazioni fino al giorno che ufficialmente annuncio’ la sua scoperta al mondo fotografico con questa dichiarazione ( parole esatte )

Grazie alle mie esperienze, io mi credo autorizzato a dire con una certa sicurezza, che noi siamo in grado di rendere il bromuro d’argento sensibile all’azione di qualsiasi colore, o di aumentare la sensibilita’ che esso gia’ possegga per certi colori: Basta associarlo con una materia che ne favorisca la decomposizione e che assorba il colore in questione senza agire sugli altri.

Dichiarazione che scosse il mondo della chimica fotografica attirando a se ovviamente le critiche dei diffidenti invidiosi che fino in ultimo cercarono di smentire con prove tali affermazioni ma anche loro alla fine dovettero prendere atto della sensazionale scoperta di Vogel.

La storia e’ ancora lunga ma capisco che a questo punto dopo aver capito le dinamiche dei fatti, l’interesse e’ a rischio di noia quindi non mi dilungo.

Gli sviluppi di queste emulsioni alla fine dell’800 erano svariati e tutti piu’ o meno portavano allo stesso risultato finale , di seguito vado a descrivere le modalita’ , i tempi e le ricette originali dell’epoca con valori in “parti”

Sviluppo acido secondo Bothamley 5/10 minuti 20°

Acqua 1000
Acido pirogallico 20
Bromuro d’ammonio 10
Ammoniaca 30

Sviluppo su emulsioni alla cianina secondo Schumann 7/10 minuti 20°

A

Solfito di soda 25
Acido solforico 0,5
Acido pirogallico 8
Acqua 100

B

Carbonato di potassio 90
Solfito di soda 25
Acqua 200

Le due preparazioni vanno miscelate con formula 6 gocce della preparazione A con 6 gocce della preparazione B in 64cc di acqua e infine si aggiunge una goccia di bromuro di potassio all’1%.

Esistono altre formule che pero’ non vado a descrivere.

Una regola nello sviluppo delle lastre ortocromatiche e’ “mai sviluppi rapidi” , i risultati migliori si ottengono con sviluppi poco aggressivi e in tempi lenti.

Il fissaggio avviene con le classiche formule a base di iposolfito di sodio

Le emulsioni “moderne” si possono tranquillamente sviluppare con rivelatori attuali come il D76 in stock , R09 1+50 , rollei RHS 1+7 o 1+12 , ma lo sviluppo perfetto per queste emulsioni e’ il POTA.

 

IL PROGETTO

Per la mia ricerca ho scelto una macchina del 1907 , per la precisione una Folding Pocket Kodak No.3 modello E-4 che inizialmente avevo datato attorno al 1902 poi successivamente grazie anche alla collaborazione di Marco Cavina e tramite il numero di serie dell’obiettivo siamo giunti alla conclusione che tale folding risale al 1907.

L’obiettivo in questione e’ un rarissimo Carl Zeiss Jena Tessar 131mm f6,3 , questo schema ottico invenzione del geniale Paul Rudolph nel 1902 e’ tra i rimi esemplari prodotti poiche’ il Tessar nasce proprio con tale apertura.

Ma la particolarita’ maggiore di questo esemplare di folding a parte lo stato di conservazione e’ che monta un obiettivo MAI commercializzato dalla EKC quindi presumibilmente si tratta di un prototipo , eventuali sostituzioni post produzione sono escluse poiche’ la staffa del mirino galileiano e’ sagomata alla perfezione per non urtare l’otturatore.

Proseguendo con il progetto la mia intenzione dopo aver modificato la folding ( senza interventi definitivi ) con una maschera per il formato 6X9 e relativi spessori per bloccare la spoletta di una pellicola 120 in un alloggio piu’ grande , e’ quello di provare sul campo la pellicola ortocromatica abbinata ad una macchina fotografica di quei tempi , tutto questo mi affascina per un insieme di fattori , oltre a verificare di persona le caratteristiche di questa emulsione che ha segnato un passo importante nella storia della fotografia , quello di poter “vedere” attraverso quell’occhio che vanta ad oggi la bellezza di 105 anni.

L’emulsione ortocromatica ha la caratteristica di non essere sensibile alle radiazioni rosse e violette , per questo motivo si può lavorare in camera oscura con la luce di sicurezza rossa ma fate molta attenzione, l’intensità deve comunque essere molto bassa poiche’ tende a velarsi ugualmente, quindi il mio consiglio e’ quello di lavorare come per le altre pellicole in totale oscurità per non sprecare questo supporto prezioso data la sua difficile reperibilità al giorno d’oggi.

Prima di cominciare a raccontare l’aspetto tecnico-storico di questa affascinante emulsione voglio anticipare molte domande che certamente il tecno fotografo leggendo questo articolo si pone e scetticamente prosegue con una lettura superficiale.

“Ma oggi ha senso utilizzare queste vecchie pellicole con il digitale?”

Ebbene a parte la bestemmia nel rapportare i due sistemi che viaggiano su due strade differenti , sì ha senso assolutamente perche’ come del resto tutto il mondo dell’analogico e’ la migliore scuola esistente per chi vuole vivere l’arte della fotografia e capire lavorando su un supporto simile ha dei vantaggi per la cultura personale di ognuno di noi.

Esiste un detto che io adoro poiche’ spesso lo vedo applicato alla vita odierna “conoscere la storia ti permette di capire il presente e ti aiuta a migliorare il futuro” questo si applica a tutto cio’ che ci circonda , fotografia inclusa.

Naturalmente io non ho alcuna intenzione di adoperare questi prodotti quindi ho optato in collaborazione con Sandro Presta per uno sviluppo dell’epoca ma tutt’ora possibile grazie alla reperibilita’ dei chimici ancora in commercio, parlo dello sviluppo Pota.

Sviluppo particolare ma seguendo semplici regole e accorgimenti molto semplice.

La formula per un litro di acqua “distillata”

Solfito di sodio 30 gr
Phenidone 1,5 gr

Preparazione dello sviluppo

La procedura per la preparazione dello sviluppo POTA e’ molto semplice ma necessita di una particolare attenzione su alcuni aspetti.

Per miscelare i due componenti e’ meglio lavorare con un quantitativo ridotto di acqua distillata da portare a 45/50 gradi , temperatura indispensabile per sciogliere il phenidone e noterete che nonostante tutto saranno presenti al termine alcune scagliette del suddetto chimico ancora non sciolte , questo non compromette lo
sviluppo e se danno visivamente fastidio di puo’ filtrare attraverso una garza fine.

Il primo chimico da sciogliere e’ il Solfito di Sodio e noterete che l’operazione e’ semplice e piuttosto rapida.

Passo successivo e’ quello di preparare il Phenidone , la preparazione consiste nel cercare di polverizzare il piu’ possibile le scaglie del chimico per migliorarne lo scioglimento nell’acqua , tale operazione la si puo’ fare in un mortaio da farmacia ( non da alimenti poiche’ spesso sono in roccia tipo marmo e non levigate internamente ) oppure come faccio io trito il Phenidone all’interno di un sacchetto ben sigillato pestandolo con un piccolo mattarello , il metodo funziona benissimo e non si disperde il chimico.

Un volta sciolto nell’acqua calda si aggiungera’ acqua fredda calcolando di ottenere uno sviluppo a 20 gradi , non vi e’ tempo di attendere che si raffreddi naturalmente poiche’ il POTA dopo un ora non ha piu’ principio attivo.

Un altro particolare da non scordare e’ quello di fare un prelavaggio di un minuto per la pellicola ortocromatica , indispensabile per togliere lo strato antialo presente che potrebbe inquinare lo sviluppo , tale operazione e’ indispensabile solo per alcuni tipi di pellicola.

A questo punto siamo pronti a sviluppare a 20 gradi per 12 minuti , le tabelle danno un tempo variabile tra i 12 e i 15 minuti ma non volendo esagerare con il contrasto preferisco un tempo minimo , utilizziamo il metodo Ilford per i capovolgimenti ( 4 ogni minuto ).

Ora terminati tutti i bagni classici godiamoci i risultati che ovviamente troveranno un senso solo se stampati in camera oscura.

N.B. non usare MAI acqua distillata per la preparazione di bagni di sviluppo moderni , questo e’ uno dei rari casi dove serve l’acqua distillata!!!!!!

Con questo sistema l’abbinamento di un’emulsione molto lenta ( 25 Asa ) e il rivelatore Pota si puo’ ottenere , se la scena e la luce lo permettono , un negativo con una gamma dinamica che va da 15 a 20 stop e una grana molto fine abbinata ad un ottimo contrasto.

 

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