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Gionny – Il sistema video: cenni storici e sua evoluzione

Gionny – Il sistema video: cenni storici e sua evoluzione

 

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ATTENZIONE: Alcune parti non sono aggiornate, l’articolo è in attesa di revisione.

DISCLAIMER: Nell’articolo sono state utilizzate alcune immagini. Non si intende violare alcun diritto di autore, esse appartengono ai rispettivi proprietari e (dove possibile) sono state indicate le rispettive provenienze.

Su invito di Lorenzo70, ho scritto questo articolo “ricognitivo” sull’argomento video e videocamere con la speranza che possa essere utile o almeno interessante per chi lo sta leggendo, e magari possa dare qualche risposta a domande ricorrenti o aprire nuovi spunti e/o interessi.
Con tutta la buona volontà, ho cercato di scrivere un articolo il più completo e semplice possibile. Forse il titolo è troppo ampio per ciò che per ora sto proponendo, ma spero col tempo di mantenere la promessa fatta con esso ed ampliare il discorso fino a coprire tutti i principali argomenti.
Naturalmente qualora qualcuno di voi trovasse degli errori o imprecisioni, me lo può (anzi, deve) far sapere in modo da effettuare le dovute correzioni (magari con un MP in modo da mantenere più scorrevole la lettura della discussione). Grazie e buona lettura.

Gli argomenti che saranno trattati sono: i principali formati video e i formati amatoriali; le tipologie e le caratteristiche delle videocamere digitali amatoriali; le reflex.
Naturalmente tutto ciò vuole essere prima una raccolta di informazioni di interesse generale sui sistemi video e poi una raccolta di informazioni utili per la scelta della videocamera/camcorder.
Non vi dirò io quale acquistare ma, se dopo aver letto questo mio lavoro, sarete in grado di fare autonomamente il vostro acquisto senza farvi prendere per il naso dal commesso di turno, allora l’obiettivo sarà stato raggiunto.

Ora, siccome oltre che dare sterili dati voglio che ci sia una comprensione anche del perché si ha a che fare con caratteristiche che a prima vista possono sembrare “strane”, prenderò le cose un po’ più alla larga. Non sarà una perdita di tempo, ve lo assicuro.

 

Parte 1: Nascita dei formati televisivi elettronici.

Lo scopo di girare dei filmati (di qualsiasi tipo come compleanni, spettacoli o tutto quello che vi viene in mente) è quello di poterli poi guardare. Per poterli guardare è necessario poterli vedere su di un televisore/proiettore o un computer. Per fare questo è necessario che il televisore possa leggere il segnale registrato. Di conseguenza sono stati introdotti degli “standard” che definiscono le caratteristiche del flusso audio/video.
In realtà oggi la maggior parte dei televisori è progettata in modo da essere compatibile con più di un sistema e ci sono apparecchi come i lettori DVD o decoder che sono in grado di “mediare” il segnale per adattalo allo standard desiderato. Nonostante questo le caratteristiche di base con cui sono progettati i televisori rispecchiano quelle del sistema televisivo in uso nel paese in cui saranno venduti. Bisogna anche dire che ormai i programmi per computer sono in grado di modificare tutte le caratteristiche necessarie alla finalizzazione da soli, ma personalmente credo che sia bene conoscere le caratteristiche fondamentali di questi sistemi (soprattutto per quelli che si vogliono cimentare nelle riprese con le reflex). In Italia si tratta dello standard PAL.

Partiamo da lontano.

Siamo nel 1940 e negli Stati Uniti si sentì la necessità di standardizzare le apparecchiature televisive a tubo catodico (le TV e le telecamere erano basate sulla stessa tecnologia CRT) che si stavano diffondendo dalla metà degli anni ’30. Ogni produttore di TV, infatti, fabbricava gli apparecchi secondo proprie specifiche e questo non favoriva il raggiungimento di una qualità minima del servizio.
In quel anno fu istituito il “National Television System Committee”, che nel 1941 pubblicò il primo standard televisivo “collettivo” per trasmissioni in bianco e nero.
Non potendo cancellare dal paese tutti gli apparecchi già in funzione, questo formato fu concepito per mediare le caratteristiche degli apparecchi già sul mercato. In particolare in questo modo venne influenzata la risoluzione, ovvero il numero di linee orizzontali della “scansione” che doveva essere compatibile sia con gli apparecchi prodotti da RCA (441 linee, sistema usato già dalla emittente NBC) che con gli apparecchi prodotti da Philco (605 linee) e DuMont (800 linee). Il risultato fu uno standard dotato di una scansione di 525 linee (di cui però, per motivi tecnici, solo un massimo di 487 erano visibili su schermo), fattore di forma (aspect ratio) 4:3 e audio trasmesso in FM.
La frequenza di aggiornamento (refresh) merita una spiegazione più dettagliata.
Come sappiamo, per percepire movimento è necessario aggiornare molto rapidamente l’immagine proiettata sullo schermo. Per fare questo il tubo catodico deve disegnare ogni fotogramma un determinato numero di volte al secondo e deve farlo linea per linea (disegna la prima, torna indietro, disegna la seconda, torna indietro, disegna la terza, ecc.). Per semplificare le cose e contenere i costi di produzione, negli anni ’30 e ’40, si pensò di collegare la frequenza di aggiornamento delle immagini con la frequenza con cui l’impianto elettrico cambia direzione del flusso di corrente, 60 volte al secondo (60 Hz) negli Stati Uniti. In questo modo si sarebbero dovuti trasmettere (e quindi disegnare) 60 fotogrammi (frame) al secondo, ma la tecnologia per raggiungere questa frequenza all’epoca aveva costi proibitivi e di conseguenza gli apparecchi non sarebbero stati commerciabili. Il compromesso fu trovato inventando lo “scanning interlacciato”, ovvero, i frame vennero divisi in due “campi” (field), il primo (alto) composto dalle linee dispari, il secondo (basso) dalle linee pari che venivano aggiornati alternatamente. In questo modo si originavano non più 60 frame al secondo, ma solo 30 (tutti divisi a metà). La sensazione di movimento veniva comunque trasmessa correttamente all’occhio umano e si poteva dimezzare il numero di linee che il tubo catodico doveva disegnare rendendo accettabili i costi di produzione e dimezzando la banda necessaria alla trasmissione del segnale televisivo.

Immagine esplicativa ci come si svolge l’aggiornamento nello scanning interlacciato:

(Immagine tratta da http://www.doom9.org/)

Ricapitolando, lo standard televisivo statunitense aveva 525 linee, frequenza di aggiornamento di 60 semi-campi al secondo e fattore di forma 4/3 (oggi potremo chiamarlo 525i-60).
La successiva evoluzione fu l’inserimento del colore.
I tubi catodici erano stati aggiornati con la possibilità di proiettare anche i colori di base in modo da poter trasmettere immagini a colori e il “National Television System Committee” venne di nuovo convocato nel 1950 per aggiornare lo standard che aveva istituito un decennio prima. Alla fine del 1953 venne approvato il nuovo standard, le modifiche principali riguardarono l’inserimento del colore (si aggiunse il segnale di crominanza al già presente segnale di luminanza) e, a causa di una interferenza riscontrata fra il segnale audio e il segnale di crominanza, si “rallentò” il framerate a 29,97 frame (59,94 campi) per secondo. Il nuovo standard era pienamente compatibile con i vecchi apparecchi in bianco e nero (che leggevano solo il segnale di luminanza) e prese il nome di NTSC. Nel 1954 venne commercializzata la prima telecamera televisiva che rispettava pienamente il nuovo sistema. Questo standard si è diffuso nel Nord America, gran parte del Sud America, e in alcuni paesi asiatici com il Giappone.

In Europa, intanto, si stava diffondendo la TV in bianco e nero e negli anni ’50 iniziò la pianificazione per il passaggio al colore.
Il sistema NTSC venne presto scartato principalmente per due problemi: le reti elettriche europee funzionavano (e funzionano tutt’ora) a 50 Hz; il sistema americano soffriva (in determinare condizioni) di alterazioni del colore, tanto da essere soprannominato “Never The Same Color” (“Mai lo stesso colore”).
I lavori partirono nei vari paesi dell’Europa occidentale e nel 1963 fu pubblicato lo standard PAL (Phase Alternating Line), sviluppato presso la Telefunken in Germania. Il sistema venne sviluppato a partire dallo NTSC e come quest’ultimo era 4/3, ma i frame scesero a 25 al secondo (50 campi) per adeguarsi alla rete elettrica a 50 Hz in uso in Europa, inoltre questo abbassamento di frequenza permise un aumento della risoluzione a 625 linee (in realtà quelle visibili sullo schermo erano da un minimo da 540 ad un massimo di 570 a seconda del televisore) e venne corretto il problema dell’alterazione del colore. Negli anni seguenti questo standard si diffuse nei vari passi dell’Europa occidentale, ma non in Francia, dove venne sviluppato il SECAM (molto simile al PAL, ma non consentiva un montaggio analogico delle immagini sopra una determinata complessità), più per motivi politici che realmente tecnici, credo. Il SECAM si diffuse anche un Unione Sovietica.

Chi si fosse chiesto il perché dei 25/30 fps o il perché della differenza della risoluzione tra i sistemi PAL e NTSC o semplicemente perché non si è adottato lo stesso sistema in tutto il mondo, ora ha avuto una risposta (almeno a grandi linee).

In tempi un po’ più recenti, si iniziò a sviluppare lo standard ad alta risoluzione, noto commercialmente come HD (“High Definition”). Dopo decenni di lavoro si è giunti allo standard attuale, che (essendo digitale) unifica senza problemi il numero di punti che compongono l’immagine, ma nonostante questo mantiene lo stesso numero di frame degli standard NTSC e PAL/SECAM.

Questa immagine dà un esempio del rapporto fra le dimensioni dei vari formati televisivi e per computer a parità di dimensioni dei pixel:

(Immagine tratta da http://it.wikipedia.org/wiki/HDTV)

Già da tempo sono allo studio standard a risoluzione ancora maggiore, ma passeranno anni prima di vedere questi sistemi applicati su larga scala.

Parte 2: La registrazione ed i formati video.

Alla fine degli anni ’40, la tecnologia televisiva si stava già diffondendo in vari paesi, ma rispetto al cinema aveva un piccolo ed insignificante problema: registrazione e riproduzione. Questo problema era molto sentito in particolare negli Stati Uniti, dove, a causa dei numerosi fusi orari che si trovano sul territorio, era necessario organizzare le trasmissioni in differita a diversi orari per adeguarsi agli orari dei due fusi di riferimento del paese (costa est e costa ovest). In quel periodo l’unica maniera disponibile per fare tutto questo era il Kinescope.

In questa immagine possiamo vedere un Kinescope:

(Immagine tratta da http://en.wikipedia.org/wiki/File:Kinescope_at_the_Canada_Museum_of_Science_%26_Technology_-Ottawa-.jpg)

Dietro a questo nome si nascondeva un apparato composto da un monitor (dove scorrevano le immagini in fase di trasmissione) con di fronte una cinepresa accuratamente sincronizzata con la frequenza di aggiornamento delle immagini e caricata con pellicola per riproduzione, la quale sarebbe poi diventata il materiale destinato all’archivio ed alla ri-trasmissione. Si tratta praticamente del precursore del Telecinema che è stato impiegato per decenni per trasportare film, sceneggiati e cartoni animati sulla televisione. Per mezzo di un apparato concettualmente analogo al primo, ma composto da un proiettore ed un tubo di ripresa, la pellicola poteva essere ritrasmessa per repliche o differite.
Appare evidente che questa tecnologia era rischiosa, nel senso che per poter effettuare una differita, era necessario sviluppare la pellicola in tempi brevissimi e proiettare immediatamente il film nell’apparecchio riproduttore con tutti i possibili imprevisti del caso (ritardi e danneggiamenti in primis). Non a caso c’erano varie aziende interessate a rendere più agevoli queste operazioni. La BBC (British Broadcasting Corporation), nel 1952, fu la prima ad annunciare la sperimentazione di sistemi di registrazione concettualmente simili a quelli sviluppati in Germania durante l’epoca nazista per le registrazioni sonore: cioè impiegare lunghi nastri magnetizzati su cui immagazzinare immagini e suoni trasformati in segnali elettrici (gli stessi segnali sui quali erano basate le trasmissioni).
Il sistema sviluppato da BBC (chiamato VERA, Vision Electronic Recording Apparatus) richiedeva enormi bobine di nastro metallico magnetizzato e nonostante numerosi anni di sviluppo (fu pronto solo nel 1958) ed un forte interesse da parte dell’emittente inglese nel capitalizzare la propria ricerca, venne soppiantato e reso obsoleto (anche presso la BBC) già nel 1956 dal sistema sviluppato da Ampex, il Quadruplex che impiegava nastri larghi solo due pollici (5 cm) e necessitava solo di 15 pollici (38 cm) di nastro per contenere un secondo di registrazione.

La foto di un VERA:

(Immagine proveniente da http://www.terramedia.co.uk/media/television/bbc_vera.htm)

Il Quadruplex fu il primo sistema di registrazione ed archiviazione basato su nastro magnetico impiegato dalle emittenti televisive. Oltre alla maggiore praticità nelle operazioni di registrazione rispetto alle pellicole, permise anche un sensibile abbattimento dei costi di gestione degli archivi, anche se (purtroppo) non sufficiente a preservare tutta la produzione televisiva degli anni ’50 e ’60. Era infatti diffusa la pratica del riciclo dei vecchi nastri, cosa che portò alla distruzione di numerose ore di video, a volte “inutili”, ma in alcuni casi anche importanti a livello storico o culturale, la cui perdita ha generato grande rammarico. Per avere un’idea della gravità della cosa provate a cercare informazioni sugli episodi perduti di Doctor Who e che “macchina” è stata messa in moto per tentarne il recupero.
Naturalmente il Quadruplex non fu l’unico standard degli anni ’50 e ’60, dopo di esso vennero sviluppati altri sistemi basati su nastri e bobine di dimensioni inferiori e qualità pari o superiore, ma la vera novità nel settore arrivò solo nel 1969. In quell’anno, Sony annunciò un nuovo formato broadcast per la registrazione video, lo U-matic, la cui particolarità e caratteristica vincente era il fatto che il nastro era contenuto in un involucro di plastica il cui compito era di proteggere il suo fragile contenuto (il nome era dovuto alla forma ad “U” del percorso del nastro all’interno del caricatore). Questo formato è noto anche come 3/4 poiché il nastro è largo 3/4 di pollice.
A partire dal 1971 il nastro da 3/4 fu immesso sul mercato e la sua formula (la cassetta) è stata impiegata da decine di altri standard come il famosissimo Betacam (analogici e digitali, a definizione standard o HD) fino ai giorni nostri. Non credo che esista o esisterà per parecchi anni ancora alcuna emittente televisiva (nuova o vecchia che sia) o professionista del video che non possieda un archivio di nastri magnetici. Solo nell’ultimi 5 o 6 anni i nastri stanno lasciando il posto, prima, ai dischi ottici e, poi, alle memorie solide ed a tutti i mille formati con cui oggi è possibile lavorare.
Il problema della registrazione e dell’archiviazione di contenuti video dell’ambiente broadcast furono affrontati anche nei settori dove non era richiesta la qualità televisiva, quindi i sistemi di registrazione elettronica arrivarono anche per i professionisti e, in seguito, anche per gli appassionati (che all’epoca usavano piccole cineprese con pellicole da 8 o 16 mm).
Il primo registratore VTP (Video Tape Recorder) messo in vendita nel mercato consumer risale al 1963 e fu seguito da vari altri modelli (tutti chiaramente ispirati ai ben più costosi sistemi televisivi), ma solo nel 1969 venne prodotto un sistema standardizzato, lo EIAJ-1 (Electronic Industries Association of Japan), si trattava di una famiglia di registratori a bobine simile per concetto a quelli che lo avevano preceduto, ma frutto della collaborazione di più aziende, caratteristica che chiaramente permise maggiore libertà di impiego rispetto ai predecessori. Poi arrivò anche in questo settore la tecnologia dei VCR (Video Cassette Recorder).
Nel 1971 fu la volta dello U-matic (questa volta in versione consumer), seguito a ruota nel 1972 dalla serie VCR (che fantasia!) di Philips. Questi apparecchi erano caratterizzati da grosse cassette quadrate e da una buona qualità generale ed erano principalmente pensati per il settore educativo (forse per questo hanno goduto di una buona diffusione), ma anche per quello domestico, anche se non erano prodotti per tutti. Devo ammettere che fino ad ora forse ho perso di vista un aspetto importante, cioè quello economico. Tutto quello che sto descrivendo, all’epoca non era affatto a buon mercato e pochi potevano permettersi oggetti di tale lusso, per fare un esempio, nel 1972 uno di questi registratori di Philips costava poco meno di una Mini.
No, non la minigonna, intendo proprio l’automobile!
Un altro formato importante fu il Cartrivision (1972) che grazie a forti compromessi qualitativi poteva raggiungere quasi due ore di filmato (fu il primo formato per il quale vennero messi in commercio dei lungometraggi cinematografici), ma la grande diffusione dei video-registratori casalinghi arrivò dopo 1975.
Proprio in quell’anno vennero messi sul mercato il Panasonic VX (che ebbe vita brevissima e infruttuosa) e il Betamax di Sony. Il Betamax fu uno standard molto importante, nato per soddisfare esigenze professionali e domestiche, fu il primo standard a diffondersi in maniera importante nel settore consumer. Fu tanto importante che nel 1984 negli Stati Uniti venne emessa una sentenza nota come Betamax Act nella quale si stabilì che le registrazioni da fonti televisive non sono reati rispetto alla legge sul Copyright.
Nonostante le ottime caratteristiche del formato e degli apparecchi riproduttori, il Betamax non superò lo scontro con il VHS di JVC (1976), il quale, grazie ad una migliore strategia commerciale, vinse il sul terreno della diffusione relegando il Betamax a quote minoritarie di mercato.
Dopo il VHS arrivarono sul mercato il Video2000 (1979, noto anche come V2000 o VCC, Video Compact Cassette) di Philips che poteva essere registrato su entrambi i lati, il CVC (Compact Video Cassette) di Funai che aveva dimensioni di poco superiori a quelle di una audio-cassetta e il S-VHS (1987) che è una versione fortemente migliorata del VHS.

In questa immagine vediamo assieme delle cassette VHS, Betamax, VHS-C e Video8:

(Immagine proveniente da: http://simplydv.biz/video-transfers/video-to-dvd-convert-transfer-copy/four-video-cassettes-650/)

Altri formati a nastro magnetico sono stati sviluppati appositamente per il mercato delle videocamere amatoriali e/o professionali come il VHS-C (e SVHS-C), il Video8 (e le sue successive evoluzioni Video Hi8 e Video Hi8 XR), il DV (in versione standard e mini) ed in fine lo HDV.
Discorso a parte per il Laserdisc (nato come DiscoVision, presentato nel 1978 e padre dei successivi CompactDisc), VideoCD (Digital Video Compact Disc-1992), il DVD (Digital Versatile Disc-1997) ed i moderni HD DVD e Bluray (questi due sono stati oggetto di una guerra simile a quella di VHS e Betamax che ha visto vincitore il formato Bluray) i quali nascono solo come sistemi di riproduzione e non di registrazione e dei quattro solo il DVD ha visto sul mercato dei veri e propri registratori.
Oggi, grazie alla forte integrazione con i computer, anche nel settore amatoriale e professionale assistiamo ad una forte riduzione di richiesta dei formati basati su nastro magnetico e (passando per lo stadio intermedio degli HDD) ad un aumento di quelli basati su memorie solide. In questo caso il formato che la fa da padrone è lo AVCHD (ed i suoi derivati professionali) anche se stanno aumentando le videocamere che lavorano con formati espressamente concepiti per la fruizione al computer come i formati MPEG4, precursori e derivati dello stesso AVCHD.

Qui di seguito troverete un’infarinatura dei principali e più diffusi formati video amatoriali.

ATTENZIONE: A seguire parlerò anche di framerate. Nella realtà dei fatti, la stragrande maggioranza delle videocamere registra a 23.976, 25, 29.97, 50 e 59.94 frame per secondo, nonostante questo mi riferirò ad essi con i valori nominali di 24, 25, 30, 50 e 60 fps anche se il valore reale è quello menzionato sopra. Spesso anche i produttori indicano solo i valori nominali sulle loro schede tecniche.
Solo poche telecamere/macchine da presa di altissimo livello sono in grado di lavorare veramente alle frequenza nominali, ma non è un problema visto che le immagini che si producono con i camcorder amatoriali vengono generalmente visualizzate su televisori che funzionano in base ai framerate reali e non nominali.

Parte 2.1: I formati video analogici.

Il formato Betamax

Con questo formato iniziò il declino dei formati a pellicola (le famiglie ad 8 e 16 mm) in ambiente amatoriale e professionale. Presentato nel 1975, fu il primo vero mezzo di registrazione magnetica in grado di diffondersi a livello amatoriale e domestico (benché benestante).
In fase di progettazione, Sony, rimise mano alle specifiche dell’U-matic in modo da renderlo più economico. La modifica principale fu la riduzione delle dimensioni del nastro che passò da 3/4 di pollice ad 1/2 grazie al differente schema con cui venivano registrati i segnali elettrici. Schema che (assieme alla forma che assumeva il nastro mentre veniva trasportato nel registratore), poiché simile alla omonima lettera dell’alfabeto greco, ispirò il nome “Betamax” in congiunzione con il suffisso “-max” (come maximum) per testimoniare la grande qualità del formato. Anche la cartuccia in plastica che contiene il nastro ha dimensioni più piccole di quelle delle U-matic, simili a quella delle più comuni VHS ma più corta.
La risoluzione apprezzabile a schermo del formato Betamax si attesta intorno alle 240 linee (simile a quella dell’U-matic e del successivo VHS) e nonostante il confronto con i formati broadcast mettesse in evidenza la relativa “povertà” del formato (le informazioni contenute sul nastro equivalevano più o meno al 30% di quelle contenute nei formati professionali), esso era comunque sufficiente per il mercato di destinazione e (a detta di molti) nettamente superiore ai formati concorrenti dell’epoca. Le varianti del sistema sono naturalmente la PAL (50i), la NTSC (60i) e la SECAM (50i) in base al mercato di destinazione.
A livello di produzione video, come già anticipato, fu la prima causa del declino delle pellicole, infatti si diffusero degli appositi registratori divisi in due parti collegate da un cavo, una per la codifica/decodifica dei segnali, l’altra contente il registratore vero e proprio (il deck). Grazie a questi apparecchi i professionisti (e gli appassionati abbienti) potevano impiegare delle videocamere apposite (all’epoca erano del tipo dotato di tubo di ripresa) da collegare al registratore portato a tracolla. Ma questo sistema, perfettamente adeguato ai professionisti che erano abituati all’attrezzatura ingombrante e pesante, non soddisfaceva i video amatori, i quali avrebbero gradito macchina simili alle vecchie cineprese. Per questa ragione vennero prodotte delle videocamere con registratore incorporato, cosa che però comportò una modifica rispetto ai modelli precedenti tale che questi apparecchi non erano in grado di riprodurre ciò che registravano, obbligando i loro utenti a dover passare per forza attraverso un secondo video-registratore. Questa fu una delle cause dell’insuccesso commerciale del formato Betamax.
La seconda e più importante causa riguardò soprattutto la politica commerciale che mise in posizione svantaggiata il Betamax rispetto al VHS.
Per fronteggiare la concorrenza il Betamax venne aggiornato più volte sia sul versante video (si raggiunsero le 500 linee del’ED Betamax nel 1988) sia sul versante audio con l’introduzione del suono Hi-Fi, venne anche introdotta una modalità con velocità del nastro dimezzata (che oggi chiameremmo Long Play-LP) per permettere il raddoppio della durata della riproduzione. Tutto però fu inutile, il terreno perso nella fase iniziale di diffusione non venne mai recuperato.
Sony riuscì comunque a capitalizzare la ricerca e lo sviluppo fatta sul Betamax, grazie alle migliorie apportate e ad alcune modifiche mirate all’aumento della qualità, nel 1982, venne introdotto il Betacam, formato industriale concepito per l’impiego televisivo e professionale ancora oggi in uso in numerose varianti, anche digitali.

Il formato VHS

Il Video Home System è un formato indirizzato esplicitamente al mercato domestico. Venne introdotto da JVC nel 1976 e si scontrò immediatamente con il Betamax per ottenere la maggior quota di mercato possibile. Basato su sul nastro magnetico da 1/2 pollice di larghezza, ha una risoluzione in linee simile a quella del Betamax, ma la qualità intrinseca dell’immagine era inferiore (credo che sia inutile ribadire oltre il concetto che la qualità non è direttamente proporzionale alla quantità, giusto?). Nonostante questa inferiorità, esso poteva contare sulla maggior durata dei nastri e sulla politica di rilascio della licenza di fabbricazione a più aziende, due caratteristiche che fecero preferire questo formato al coevo Betamax decretandone il successo. Anche in questo caso gli standard di riferimento sono PAL, NTSC e SECAM.
Analogamente al Betamax, anche in questo caso le prime videocamere pensate per impiegare il sistema VHS prevedevano l’uso di un registratore separato, poi si diffusero videocamere con deck incorporato, con la differenza che in questo caso, esse permettevano anche la riproduzione dei video appena registrati. Questa fu un’ulteriore stoccata al formato concorrente.
Per aumentare ulteriormente la quota di mercato dei video amatori, nel 1982 venne introdotto il VHS-Compact (VHS-C), il cui scopo era quello di permettere la miniaturizzazione delle videocamere senza perdere la compatibilità con i comuni apparecchi casalinghi. La caratteristica principale di questo formato era la riduzione delle dimensioni della cassetta impiegando, però, lo stesso nastro e la stessa codifica delle sorelle maggiori, in questo modo era possibile girare tutti i video desiderati ed in seguito guardarli sul normale videoregistratore semplicemente mettendo la cassetta in un adattatore. L’unica limitazione di questo formato rispetto al progenitore stava nella durata del nastro che era limitato ad un massimo di 45 minuti.
Anche il VHS ha subito degli aggiornamenti per reggere meglio la concorrenza, l’introduzione della modalità LP, l’audio passo dal segnale mono allo stereo per poi arrivare all’Hi-Fi nel 1984, e nel 1985 vegeto rilasciate le specifiche che portarono la risoluzione a 250 linee (senza però apportare miglioramenti apprezzabili nella qualità generale). L’aggiornamento più importante però avvenne nel 1987 con l’introduzione del Super-VHS.
Altre variazioni andarono nella direzione del digitale e dell’alta definizione con i formati W-VHS, D-VHS e Digital-S (noto anche come D-9), che però furono proposti principalmente per il mercato professionale.

Il formato Video8

Non potendo fare una concorrenza diretta alle videocamere VHS (soprattutto con in versione compact) con il Betamax, Sony corse ai ripari e produsse un nuovo standard. Nel 1985 venne introdotto il Video8 (nome derivante dalla larghezza del nastro magnetico impiegato, 8 mm contro i 12 mm di VHS e Betamax), fu concepito appositamente per permettere la produzione di videocamere palmari (venne introdotta una nuova serie di videocamere con marchio commerciale Handycam) più piccole di quelle possibili con il VHS-C. L’obiettivo fu ampiamente raggiunto, le cassette erano visibilmente più sottili delle controparti VHS, avevano una qualità video analoga (sempre intorno alle 240 linee e sempre compatibili con i tre standard video di riferimento), ma audio nettamente migliore. L’unico vero difetto di questo sistema era l’incompatibilità dei nastri con i sistemi Betamax e VHS, quindi per guardare il video in mancanza di un videoregistratore dedicato era necessario collegare la videocamera al televisore oppure riversare il video fatto su di un altro nastro effettuando una copia vera e propria (con relativa perdita qualitativa).
A differenza del Betamax, questo formato (ed i suoi derivati) ebbe fortuna e si spartì il mercato assieme al VHS, ma senza che nessuno dei due mostrasse una prevalenza sull’altro.

Il formato Super-VHS

Si tratta dell’evoluzione più famosa del VHS.
Per mantenere viva la concorrenza con i formati Sony, il VHS dovette essere aggiornato, le migliorie furono quantitative (si raggiunsero le 400 linee) e qualitative (sensibili miglioramenti nella resa delle immagini). Al contrario il comparto audio rimase invariato, anche se alcuni registratori professionali potevano gestire tracce audio stereo con codifica digitale PCM (con frequenza di campionamento a 48 kHz). Esiste anche la versione Compact. Gli standard di riferimento sono i soliti tre.
I registratori sono retrocompatibili, nel senso che un apparecchio S-VHS è in grado di leggere le VHS ordinarie, ma non è possibile fare il contrario (a meno di truccare le cassette che differiscono solo per un piccolo foro, la qual cosa funziona, ma la registrazione non in questo caso tende a deteriorarsi molto rapidamente perché il nastro ha specifiche differenti).
Per beneficiare della maggiore risoluzione fu anche necessario introdurre una nuova connessione. Il precedente collegamento composito (in genere i cavi domestici sono dotati di connettore RCA) infatti non consentiva l’invio e la ricezione di segnali video con risoluzioni maggiori di 250 linee, allora venne introdotta una connessione detta Y/C (noto anche come s-vhs o super video) che porta i segnali video separatamente e può raggiungere le 400 linee.
Nonostante questo formato fosse stato pensato per il mercato professionale e domestico, in quest’ultimo settore non attecchì, probabilmente per le relativamente basse necessità di questo pubblico.

Il formato Video Hi8

High-band Video8, contratto in Video Hi8 o semplicemente Hi8. Introdotto nel 1989 fu pensato per fare concorrenza al S-VHS. Esattamente come il S-VHS le cassette erano dotate di nastri più robusti e poteva raggiungere le 400 linee di risoluzione. Anche sul versante audio le cose si svolsero nella stessa maniera, cioè inizialmente invariato, poi uscirono apparecchi in grado di gestire flussi audio PCM a 12 bit e campionamento a 32 kHz. E, che ci crediate o no, anche la retrocompatibilità era identica, cioè nastri vecchi su apparecchi nuovi, OK. Nastri nuovi su apparecchi vecchi: no. Sembra che lo facessero apposta!
Nel 1998 usci anche una piccola variante, la Hi8-XR che prometteva un leggero miglioramento della qualità video. Restò, inoltre, l’incompatibilità con i videoregistratori da salotto (ormai quasi exclusivamente VHS), esattamente come per il predecessore.

Parte 2.2: I formato video digitali.

Il formato DV

Il più vecchio dei tre è il formato DV. Risale al 1995, fu pensato per essere il miglior formato amatoriale mai prodotto, e la promessa fu mantenuta, tanto che si rivelò adeguato anche all’uso professionale sia in versione standard (pensate alla Canon XL1 o XL2), sia in versioni professionali proprietarie come la DVCAM di Sony o la famiglia DVCPRO di Panasonic. Il supporto di memorizzazione è la cassetta DV, diffusasi in particolar modo nella versione miniDV.
Si tratta di un formato digitale a definizione standard (SD), pensato per adeguarsi perfettamente agli standard di riferimento (PAL e NTSC). La frequenza di aggiornamento (sempre interlacciata), infatti, è la stessa dei rispettivi sistemi PAL e NTSC e la risoluzione verticale conta 480 linee per la versione americana e 576 per quella europea (numeri molto simili li avete già visti sopra). Trattandosi di un formato digitale però si dovette quantificare anche la risoluzione orizzontale che venne fissata in 720 colonne per entrambe le versioni. Da qui troviamo che il DV-NTSC ha 720×480 pixel con 29,97 fps (interlacciati o 59,94i), mentre il DV-PAL ha 720×576 pixel con 25 fps (interlacciati o 50i). Ora se ci fate i conti nessuna delle due versioni ha un “aspect ratio” 4:3 o 16:9. Questo non è un problema per i televisori, perché i tubi catodici devono disegnare la linea descritta e poi tornare indietro per la successiva, mentre i programmi per computer che leggono il formato DV anamorfizzano l’immagine in base alla risoluzione verticale e ad un “flag” inserito nel codice del file. Nel caso del rapporto 4:3 il flag è 1,33 (basta fare una divisione per ottenerlo), nel caso del 16:9 è 1,77 (idem). In questo modo si ottiene 640×480 (4:3) e 854×480 (16:9) pixel per la versione NTSC mentre per la PAL abbiamo 768×576 (4:3) e 1024×576 (16:9) pixel.
Il sotto-campionamento del colore (fase precedente alla compressione digitale) viene indicato in 4:1:1 (NTSC) e 4:2:0 (PAL). Senza scendere in dettagli troppo tecnici (lo ammetto, non li ho capiti fino in fondo nemmeno io), posso dire che, a dispetto dell’indicazione differente, i dati di una o dell’altra versione sono identici (cambia solo la modulazione con cui sono scritti sul supporto di memorizzazione) e il primo numero indica la quantità dei dati del segnale di luminanza (4 volte più grande dell’unità base), mentre gli altri due indicano due dei tre segnali della crominanza (i colori di base, il terzo è ottenuto per sottrazione). Questo significa che i dati sul colore sono minori rispetto ai dati sulla luce, ma non è il caso di crucciarsi, solo le videocamere di tipo professionale, “broadcast” o cinematografico vantano dei “chroma sub-sampling” di 4:2:2 o addirittura 4:4:4.
L’audio viene codificato in formato PCM (lo stesso formato contenuto nei file audio WAVE e dei CD musicali) con campionatura a 48 kHz e 16bit se a 2 canali, oppure 32 kHz e 12 bit se si imposta a 4 canali.
L’ultima cosa che voglio far notare è la compressione.
Nel formato DV ogni frame è memorizzato singolarmente come un’immagine e la compressione è fissata a 25 megabit al secondo. Aggiungendo i dati sull’audio e tutte le altre informazioni di supporto si raggiungono i 36 megabit al secondo, un ottimo valore considerando la natura amatoriale dello standard. Facendo i conti scopriamo che un minuto di video DV pesa circa 258 megabyte, un’ora sono circa 15 gigabyte (in realtà nella mia esperienza sono circa 13). Spesso è presente anche un modalità LP che allunga del 50% la durata di una cassetta rallentandone la velocità di scorrimento.
Essendo uno standard molto rigido, il DV assicura compatibilità assoluta con i programmi di video-editing e i file vengono inseriti in contenitori .AVI su Windows o .MOV/.DV su Mac OSX. L’importazione sul computer avviene esclusivamente tramite collegamento Firewire (IEEE1394)/iLink. Questa compatibilità è il principale vantaggio del formato, assieme al fatto che le cassette sono economiche e (ancora) facilmente reperibili.
Il principale svantaggio del formato, paradossalmente, sono sempre le cassette. Essendo magnetiche, queste con gli anni tendono a smagnetizzarsi quindi è necessario conservarle in maniera adeguata, inoltre le videocamere periodicamente necessitano di pulizia delle testine di registrazione (dopo lunghi periodi d’utilizzo, anche della sostituzione) e il trasferimento su computer avviene in tempo reale: un’ora di filmato=un’ora di trasferimento.

Il formato Digital8

Il Video8 è duro a morire! Nel 1998 Sony rilascia questo nuovo standard che in realtà nuovo, non è. Si tratta di videocamere digitali che impiegano nastri Video8, ma che diversamente dalle progenitrici registrano video digitale secondo la codifica DV. Si, avete capito bene, dal punto di vista funzionale si tratta di dati DV in tutto e per tutto ed anche il trattamento dei dati si esegue alla stessa maniera. L’unica problematica rispetto al formato originale è che nel caso dello standard NTSC la durata nominale dei nastri si riduce del 25% e nel caso del PAL addirittura del 50% in modalità SP (Short Play) a causa della maggior velocità del nastro.
Ultima nota, alcuni apparecchi Digital8 sono in grado di leggere i vecchi nastri Video8 analogici, ma naturalmente il contrario non è possibile.

Il formato MicroMV

Il formato MicroMV viene messo sul mercato nel 2001. Si tratta di un formato basato su nastro magnetico voluto e sviluppato da Sony (che fu anche l’unico produttore a fabbricare apparecchi e supporti), ebbe scarso successo commerciale a causa del costo piuttosto alto di videocamere e cassette e degli scarsi vantaggi rispetto al più solido DV (in pratica solo le dimensioni minori) tanto che fu messo fuori produzione già nel Gennaio del 2006. Oggi sul mercato del nuovo sono reperibili solo fondi di magazzino e le cassette specifiche.
Le caratteristiche audio/video riprendono le specifiche del formato DV con la differenza che la compressione segue lo standard MPEG2* (la compressione impiegata nelle trasmissioni DVB come quelle satellitari e nei DVD) con un bitrate di soli 12 megabit per secondo, meno della metà del DV. Questa compressione ha permesso di progettare delle cassette di dimensioni estremamente ridotte (meno della metà delle miniDV) grazie alle quali anche il deck poteva essere molto compatto e, conseguentemente, anche il corpo macchina della videocamera.
La compatibilità del formato MicroMV inizialmente era pressoché nulla. Era possibile eseguire semplici montaggi solo con il programma fornito nella confezione (compatibile solo con Microsoft Windows) e solo dopo circa un anno uscirono programmi commerciali in grado di riconoscere e gestire la codifica MicroMV. Questo generò parecchie perplessità fra coloro che acquistarono queste videocamere.
Analogamente al formato DV, l’importazione dei video nel computer avviene in tempo reale ed esclusivamente attraverso collegamento Firewire (IEEE1394)/iLink.
I vantaggi di questo formato si riassumono nelle ridottissime dimensioni di cassette e videocamere, mentre gli svantaggi sono la qualità più bassa del video, i maggiori costi delle cassette e le relative difficoltà nel gestire i filmati.
In definitiva il MicroMV è un formato sconsigliabile, anche nel caso si trovasse una buona occasione di acquistare una videocamera nuova o usata.

[*Nota: a differenza del DV, la compressione MPEG (1, 2 o 4) non memorizza interamente tutti i fotogrammi (compressione intra-frame), ma registra un “key-frame” e poi registra solo le porzioni dell’immagine che cambiano dalla precedente fino a che non c’è un cambiamento completo delle immagini (compressione inter-frame). Questo permette una maggior compressione senza rimetterci in qualità, ma se ci sono difetti sulla cassetta, esiste il rischio di perdere intere sequenze di riprese.]

Il formato DVD

Fino ad un paio di anni fa era facile trovare la videocamera DV e a fianco un modello molto simile, ma che al posto del VCR aveva un piccolo masterizzatore adatto ad “incidere” DVD Video da otto centimetri di diametro. Queste videocamere producevano gli stessi e identici video delle sorelle DV, ma lo comprimevano in formato DVD e masterizzavano il disco direttamente on camera.
Il vantaggio stava nell’avere subito un DVD visibile in un lettore da tavolo compatibile. Lo svantaggio era che la compressione era oltre il doppio (in genere fra i 7 e i 10 megabit al secondo, audio compreso) e questo abbassava/abbassa la qualità generale e anche nel montaggio a causa della minore quantità di dati.
Oltre a questo, era necessario fare attenzione allo standard specifico di DVD impiegato dalla videocamera, erano infatti disponibili tre standard di dischi: DVD-R; DVD+R; DVD-RAM. E’ necessario che il lettore da tavolo sia compatibile con il formato impiegato dalla videocamera, pena l’impossibilità di guardare il video inciso sul disco.

I formato HDV

Il formato HDV nasce nel 2003 (anno di formazione del consorzio) è uno standard ad alta definizione, e come il “vecchio” DV è pensato principalmente per l’impiego delle cassette miniDV, ma era previsto anche l’utilizzo dei memorie HDD o “solide” (soluzione non utilizzata nel settore amatoriale). Anche in questo caso il formato amatoriale ha invaso il settore PRO, sia in versione standard, sia con derivati dedicati ai professionisti.
Le caratteristiche del formato sono le seguenti.
In modalità 1080 linee, la videocamera registra alla risoluzione di 1440×1080 pixel (in visualizzazione vengono raggiunti i 1920×1080 pixel), sotto-campionamento 4:2:0, compressione video MPEG2 (la compressione impiegata nelle trasmissioni DVB come le satellitari e nei DVD) con bitrate a 25 megabit per secondo, quindi nonostante la maggior risoluzione mantiene lo stesso ingombro del DV, a scapito di una qualità relativamente minore. Il framerate per la variante NTSC è di 30 fps interlacciati (60i), la versione PAL ha 25 fps interlacciati (50i). Anche l’audio è compresso in formato MPEG 1 Layer 2.
La modalità da 720 linee (non sempre presente) lavora alla risoluzione di 1280×720 linee, sotto-campionamento 4:2:0 e compressione MPEG2 con bitrate a 18,3 megabit al secondo. Il framerate e 30/60 fps progressivi (i fotogrammi sono completi) per la versione NTSC e 25/50 fps progressivi per la versione PAL. In alcuni casi è presente anche una modalità “cinematografica” a 24fps (ma non sempre è compatibile con i programmi di editing). l’audio è compresso come per la modalità 1080i.
In modalità a definizione standard, le videocamere HDV lavorano esattamente come le precedenti DV.
Devo aggiungere poi che anche nella modalità a 1080 linee, alcuni produttori, hanno inserito la possibilità di registrare in maniera progressiva (addirittura in 24p per la variante NTSC), ma anche in questo caso non sempre i programmi di editing sono compatibili.
Analogamente al formato DV anche per lo HDV, la comunicazione con il computer avviene solo tramite Firewire/iLink (questo assicura un’ottima compatibilità, tranne che nei casi già citati) e per godere appieno del formato HD sul televisore è necessario avere un televisore FullHD/HD Ready (ed eventualmente un lettore Blu-Ray).
I vantaggi e gli svantaggi sono gli stessi del formato DV.

Il formato AVCHD

Il formato AVCHD risale al 2006. Inizialmente ricalcava il formato HDV (video HD anamorfico, scansione interlacciata, ecc.), ma con compressione MPEG 4 (in particolare è una compressione derivata dalla AVC, la quale a sua volta è derivate dallo H.264), poi è stato fatto “progredire” e oggi la maggior parte delle videocamere può registrare in FullHD (1920×1080) e gestire 25/50 fps interlacciati (le versioni NTSC ovviamente lavorano a 30/60 fps), alcune hanno la modalità 24p. E’ possibile trovare anche videocamere in grado di registrare 25/50 (o 30/60) fps progressivi, ma non sono modalità standardizzate (sono possibili problemi di compatibilità con i software). Il bitrate massimo (standardizzato) per il video è 24 megabit al secondo (a volte 28 megabit, ma fuori standard).
La modalità “HD Ready” (la 720p, se presente) registra immagini a 25, 50 o 24 fps progressivi (30 o 60 fps per i modelli NTSC).
In definizione standard (se presente) il filmato ricalca il formato DV, ma con compressione MPEG4, nonostante questo, spesso, lo standard non è rispettato e la registrazione avviene in 640×480 (in genere è indicata come risoluzione “VGA”). La sotto-campionatura del colore è sempre 4:2:0. L’audio può essere PCM o AC3 (compresso), da un minimo di uno (1) ad un massimo di 7.1 canali in base alle impostazioni scelte/disponibili.
La caratteristica saliente del “formato” è quella di essere completamente senza nastro. Le videocamere AVCHD possono integrare un disco fisso (oggi è raro), o una memoria flash e slot per schede di memoria. E’ prevista anche una soluzione con disco ottico, ma io non ne ho mai visto videocamere di questi tipo. Il trasferimento avviene tramite USB 2.0, questo può sembrare un vantaggio rispetto ai formati che registrano su nastro, ma in realtà il risparmio di tempo è poco (e dipende dal computer) perché il flusso dati deve essere ri-codificato dal programma.
La compatibilità con i programmi non è scontata perché è un formato in continua evoluzione e ogni produttore apporta modifiche e migliorie secondo la propria discrezione. Per fare un esempio, Sony e Panasonic ne hanno fatta una versione proprietaria per le videocamere 3D steroscopiche che ha letteralmente preceduto la definizione di uno standard apposito. Prima di acquistare l’ultimo modello uscito è meglio controllare se il programma che usate è compatibile.
I vantaggi del sistema sono:
– la quasi totale mancanza di parti meccaniche (in particolare se la videocamera non è dotata di HDD, si riducono solo ai meccanismi di attuazione dell’obiettivo), questo si traduce in maggior robustezza, maggior leggerezza/compattezza e maggior autonomia a parità di batterie (però in genere le montano più piccole);
– l’interfaccia USB che è molto più comune della Firewire;
– non è necessario portarsi dietro “numerose” cassette che pesano e portano via spazio.
Gli svantaggi sono sostanzialmente tre:
– la compressione è maggiore del formato concorrente (lo HDV) e se avete il palato fino ve ne accorgete;
– i filmati devono essere per forza archiviati digitalmente, e trattandosi di gigabyte e gigabyte, questo può diventare un problema, soprattutto a livello economico, l’alternativa e quella di comprimere, ma poi la qualità del file peggiora;
– la compatibiltà a livello software a volte è un terno al lotto perché le specifiche cambiano di generazione (di videocamere) in generazione.

Per la cronaca, esiste anche una versione ridotta del formato detta “AVCHD Lite” (limitata alla modalità 720p ed impiegata soprattutto nelle fotocamere compatte) e delle versioni professionali come la serie di videocamere AVCCAM di Panasonic e NXCAM di Sony (per chi non l’avesse capito questi due marchi sono i principali fautori del formato).

Il formato AVCHD 2.0

E’ una versione aggiornata dello standard (rilasciata nel 2011), che permette 50/60 fps progressivi in modalità 1080p, compressione a 28 megabit al secondo (anziché a 24) e modalità di ripresa in 3D, se la videocamera lo permette fisicamente. Le caratteristiche fondamentali possono essere indicate anche da appositi loghi stampati sulle videocamere.

Altri standard

Da quando si è affermato il formato DV, le modalità con cui si trattavano i video amatoriali sono cambiate spostandosi dal videoregistratore al computer. Ormai quasi tutti i video amatori passano per il computer ed alcuni di essi addirittura guardano i video solo al computer, e il mercato (alias i fabbricanti di videocamere) se n’è accorto.
Capita sempre più spesso di trovare videocamere che anziché lavorare con un formato rigidamente codificato come il DV comprimano il video in un formato concepito per essere subito visibile al computer (o che almeno offrono le due possibilità di scelta) senza dover affrontare alcuna operazione di editing.
In questi casi è difficile dare una “regola”, posso solo dire che spesso le caratteristiche riprendono quelle tradizionali, ma sono spesso impiegate compressioni Motion JPEG, oppure MPEG2 (H.262) o MPEG4 (nella vecchia versione H.263 o nella più gettonata H.264), il tutto in contenitori AVI o MOV a seconda delle preferenze del produttore.
Per sapere cosa avete per le mani, leggete attentamente la scheda tecnica.

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