La tanto attesa versione autofocus EF-L del 1997, come anticipato, riprende largamente lo schema originale, senza rivoluzioni: il modulo anteriore è stato modificato aggiungendo un elemento, al fine di “indirizzare” meglio la correzione complessiva dell’aberrazione cromatica (notate il vetro Phosphate Krown a media rifrazione e bassa dispersione in posizione L2 separato con una lente d’aria dalla successiva L3 in vetro Dense Flint ad alta rifrazione/alta dispersione) e per fare convergere i fasci sull’asse del diaframma con minore incidenza; l’altra modifica di rilievo consiste nell’adozione di un vetro UD nella lente posteriore del doppietto collato anteriore, sempre con l’intento di controllare meglio l’aberrazione cromatica; a tale scopo è mirata anche l’adozione del vetro Fluor Crown (con dispersione vD= 70,2) utilizzato nella penultima lente. Sempre in questo contesto, notate anche l’indicazione dei valori di dispersione parziale anomala riportati a fianco dei vetri usati negli elementi L1 ed L4. Infine, la superficie asferica è sempre ricavata nel raggio posteriore della terzultima lente.
Nel 2000 venne effettuato un tentativo coraggioso per correggere ulteriormente l’aberrazione cromatica, adottando una tecnologia avveniristica che Canon, per prima, porterà nella produzione di serie: i reticoli diffrattivi (DO). Questa tecnologia, che richiede montaggi a registro fra gli elementi con precisione assolutamente critica, consente di correggere efficacemente l’aberrazione cromatica anche in assenza di speciali vetri a bassa dispersione; probabilmente la Casa sperava di realizzare in grande serie gli elementi DO a basso prezzo, sostituendo in tronco le costose lenti in vetro UD o fluorite, ed infatti esistono estesi brevetti che illustrano l’applicazione ipotetica della tecnologia DO a numerosi obiettivi del sistema Canon ED (persino allo speciale super-macro 65mm f/2,8 MP-E…); viceversa, le tolleranze micrometriche di lavorazione ed assemblaggio si sono rivelate fonte di costi imprevisti, e l’adozione massiccia di moduli DO si è largamente ridimensionata a due soli obiettivi… Nel nostro caso, oltre ai reticoli diffrattivi sulla superficie posteriore della penultima lente, era prevista per buona misura una lente in vetro UD Ohara S-FPL51 nell’identica posizione in cui è collocata sull’EF-L “mark I” di serie (posizione L5), oltre a ben cinque lenti alle Terre Tare (tre Crown al lantanio e due Flint al lantanio) e a due lenti in vetro Dense Flint ad altissima rifrazione/alta dispersione: un tour de force pregevole ma poco realistico sul piano dei costi che rimase solo una lodevole intenzione.
Questa versione calcolata da Makoto Misaka nel 2005 (due prototipi dalle caratteristiche simili) è molto particolare perchè si prefigge lo scopo di alleggerire il nocciolo ottico, adottando al posto del vetro UD tipo Ohara S-FPL51 un vetro a bassa dispersione tipo Ohara S-FSL5 (più leggero) e sostituendo un’altra lente realizzata in vetro molto pesante con una versione ottenuta per stampaggio da una resina sintetica, additivata con ossidi delle Terre Rare e polimerizzata ad ultravioletti: un progetto curioso che non ebbe seguito commerciale.
Abbandonata la strada dei reticoli diffrattivi, si tornò sulla via maestra e, per risolvere radicalmente il problema dell’aberrazione cromatica, nel 2008 il progettista Kaoru Eguchi tagliò la testa al toro, riprendendo lo schema originale dell’EF-L “mark I” e creando un prototipo che prevede l’adozione di ben due lenti in fluorite (Ohara S-FPL53), in posizione L5 ed L10, e di due superfici asferiche (il raggio posteriore della terzultima lente e quello anteriore della penultima); se aggiungiamo 4 lenti in vetri alle Terre Rare (due Crown al lantanio e due Flint al lantanio), 3 lenti i vetro Dense Flint ad alta rifrazione/alta dispersione ed un doppio flottaggio asolidale per la messa a fuoco (in pratica restano stazionarie solo le 3 lenti anteriori) componiamo un insieme altamente tecnologico che, alla stregua del modello descritto in precedenza, avrebbe probabilmente comportato costi eccessivi per il real world (le lenti in fluorite Ohara S-FPL53 sono estremamente costose); fatto sta che anche questo modello rimase solamente un’ipotesi su carta, comunque indicativa della tendenza ideale che accompagnava l’evoluzione di questo celebre modello.
Infine, dopo tante ipotesi e ricerche, nel 2008 venne trovato il giusto equilibrio in un progetto di Takahiro Hatada che sarebbe sfociato nel Canon EF 24mm f/1,4 L mark II di produzione; en passant, va detto che lo stesso progetto (come esempi principali) prevede anche due versioni di 35mm f/1,4 asferico: magari fra non molto uno di essi verrà “promosso”, divenendo il nuovo Canon EF 35mm f/1,4 L mark II? Chissà… Tornando al 24mm, il modello EF mark II affronta il problema dell’aberrazione cromatica senza utilizzare reticoli diffrattivi o lenti in fluorite, ma implementa il classico doppietto acromatico anteriore (presente sia negli FD che nell’EF “mark I”) trasformandolo in un tripletto con l’elemento anteriore spaziato da una sottile lente d’aria; il doppietto collato prevede ancora un vetro UD tipo Ohara S-FPL51 (identico a quello presente nell’EF “mark I”) ma associato ad un vetro Flint al Lantanio ad alta rifrazione / bassa dispersione, mentre il terzo elemento anteriore è rappresentato da un Dense Flint estremo con altissima rifrazione (nD= 1,883) e bassa dispersione (vD= 40,8); per buona misura, anche la lente L9 è realizzata in vetro UD tipo S-FPL51, mentre il successivo doppietto acromatico (L10 – L11) abbina un vetro Fluor Crown a bassa rifrazione bassa dispersione (vD= 70,2) con un Dense Flint ad altissima rifrazione / alta dispersione. In questo nuovo modello, articolato su 13 lenti, sono previste due superfici asferiche, una ricavata nel raggio posteriore della seconda lente ed una in quello anteriore dell’ultima. Nello schema sono presenti cinque lenti alle Terre Rare ed il flottaggio interessa il modulo di lenti poste dietro il diaframma.