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Il Flash su fotocamere EOS Canon: Guida completa

Il Flash su fotocamere EOS Canon: Guida completa

 

 Capitolo 6: Terminologia del flash

Eccovi un piccolo glossario della terminologia impiegata nel descrivere il sistema flash EOS ed i flash in generale:

6.1 Strobe e Flash

Questa è una distinzione utile per chi volesse approfondire l’argomento su testi in lingua inglese.
Per gli inglesi (o britannici in generale), uno strobe è un oggetto che emette luce pulsando, mentre per gli americani uno strobe è un qualsiasi flash elettronico che emette lampi singoli o continui.
C’è ulteriore confusione se consideriamo il termine flash che possiede quattro significati: un verbo che significa emettere un lampo di luce; un sostantivo che indica un lampo di luce; la fotografia effettuata con l’impiego di lampi luce o flash; un dispositivo che emette lampi di luce.
Per ultimi ci sono Speedlight e Speedlite. Il primo è il nome commerciale utilizzato da Nikon per le proprie unità flash, mentre il secondo è quello utilizzato da Canon.

6.2 Legge dell’inverso del quadrato

La diminuzione della luce emessa da una qualsiasi sorgente avviene in modo molto rapido.
Prendete ad esempio un fuoco nel bel mezzo della notte che da lontano appare come una pozzanghera di luce attorniata solo dal buio, oppure una torcia elettrica puntata verso il cielo notturno, che può sembrare una barra luminosa che si disperde rapidamente mano amano che sale verso l’alto. La luce di flash svanisce mallo stesso modo.
Sarebbe logico pensare che la quantità di luce dimezzi al raddoppiare della distanza dalla sorgente. Purtroppo non è così, la luce si riduce ad un quarto (1/4) della quantità precedente ogni volta che la distanza dalla sorgente raddoppia.
Lo spazio ha tre dimensioni, quindi immaginiamo una sfera con la centro la fonte di luce, quest’ultima emette i suoi fotoni (le particelle che compongono la luce). Adesso immaginiamo di aumentare le dimensioni della sfera in modo tale che le sue pareti risultino più lontano dalla fonte di luce. Facendo questo la superficie in terna della sfera è aumentata, ma la luce no, è riamata la stessa. La quantità di fotoni che c’era prima è rimasta invariata. La sfera però non ha una superficie doppia rispetto a prima, se la distanza della fonte di luce dalla parete è raddoppiata, la superficie no, è aumentata molto di più.
La relazione fra la distanza della fonte di luce e le dimensioni della sfera immaginaria possono essere descritte matematicamente con la legge dell’inverso del quadrato. Questa legge stabilisce che la quantità di luce è proporzionale all’inverso del quadrato della distanza dalla fonte (cioè 1 diviso la distanza al quadrato). Quindi, se raddoppiate la distanza, otterrete 1/2ˆ2, cioè 1/4 della luce che avevate in precedenza. Se quadruplicate la distanza, avrete 1/4ˆ2, cioè 1/16. Come potete vedere la luce diminuisce molto rapidamente.
Tutte le sorgenti di luce ordinarie (i laser funzionano su principi differenti) seguono questa regola che spiega il perché della caduta di luce dei flash. In realtà, nella fotografia con i flash le cose sono anche più complicate perché la luce prima viaggia dal flash al soggetto e poi dal soggetto alla fotocamera, indebolendosi ulteriormente. Aggiungete poi che gran parte della luce viene assorbita dal soggetto ed ecco che il funzionamento del flash appare come un piccolo miracolo.
In base alla legge dell’inverso del quadrato si capisce anche perché ad un lieve aumento della potenza del flash non corrisponde un aumento visibile della portata del lampo, oppure perché gli oggetti più vicini al flash sono illuminati in maniera più brillante rispetto a quelli più lontani.

6.3 Il numero guida (NG)

La portata massima del flash è indicata dal suo numero guida. Se usate il sistema di calcolo automatico, forse, non dovrete mai avere a che fare con il numero guida, tranne quando acquistate un nuovo flash e volete sapere quale sia il più potente. Comunque, il numero guida, è un parametro critico per chiunque usi il flash manualmente.
Il numero guida è utilizzato per calcolare il valore di apertura del diaframma necessario a coprire una data distanza o viceversa per calcolare la distanza in base ad un determinato diaframma. Tecnicamente, il numero guida descrive la portata massima del flash, non la potenza. A causa del principio della legge dell’inverso de quadrato della distanza, un flash deve quadruplicare la potenza per raddoppiare la distanza.

Per trovare il diaframma (il numero f) necessario per scattare una foto ad un determinato soggetto, dovete dividere il numero guida per la distanza fra il flash ed il soggetto. Per trovare la distanza massima alla quale un soggetto può essere correttamente illuminato con usando un determinato diaframma, dovete dividere il numero guida per il valore di diaframma stesso (numero f). Ricordate che, in entrambi i casi, quello che conta è la distanza fra il flash ed il soggetto, non la distanza fra soggetto e fotocamera. Se utilizzate il flash on-camera queste due distanze coincidono, mentre se il flash è separato o state utilizzando la tecnica del lampo di rimbalzo esse saranno differenti.

numero f = NG / distanza
distanza = NG / numero f

 

I numeri guida indicati da Canon sono espressi in metri per 100 ISO. Il nome dei suoi Speedlite include il numero guida più alto di cui il flash dispone (ovvero la portata alla massima potenza e con la parabola alla massima escursione) moltiplicato per 10, ad esempio il 580EX dispone di numero guida 58 posizionato a 105mm. Da annotare come eccezione che Canon USA nella sua documentazione esprime il numero guida in piedi (feet). Quindi controllate sempre due volte le schede tecniche perché, se trovate NG particolarmente alti molto probabilmente sono espressi in piedi. Per esempio, il materiale pubblicitario della EOS Elan 7e/7 (versione USA della EOS 30/33) indicava un flash incorporato con numero guida 43, notevole per un lampeggiatore di quelle dimensioni, finché non si realizza che era espresso in piedi ed in metri si riduce ad un più normale 13 (i flash incorporati di Canon si attestano intorno ai numeri guida 12 o 13 se non si è in presenza di parabole zoom).
In questo documenti si fa riferimento solo ai metri, ma per chi si trovasse a dover tradurre delle schede tecniche segnalo le seguenti equivalenze:

[cit]1 metro = 3,3 piedi
1 piede = 0,3 metri

Un altro dato importante da ricordare è che il numero guida è indicato per 100 ISO. Quindi se state usando pellicole/sensori con sensibilità differente dovrete inserire questa variabile nei vostri calcoli. Ancora una volta la matematica è basata sulla legge dell’inverso del quadrato: quadruplicando la sensibilità (ISO) raddoppierete il numero guida. Di conseguenza, la portata massima del vostro flash aumenta con l’aumentare della sensibilità ISO. Eccovi un modo rapido per applicare la conversione:

ISO raddoppiato: NG x 1,4
ISO dimezzato: NG x 0,7

Il numero guida è influenzato anche dalla parabola zoom del flash. Per esempio, lo Speedlite 480EG è dotato di lampade molto più potenti di quella del 540EZ, nonostante questo il suo numero guida è 48 contro 54 del collega più piccolo. Perché? Se regoliamo la parabola del 540EZ impostandola a 35mm (la stessa copertura del 480EG), esso risulta avere un “misero” numero guida 36, mentre se azioniamo lo zoom e lo portiamo al massimo, otteniamo un lampo maggiormente concentrato con NG 54. Il 480EG al contrario non ha questa possibilità (a meno di usare particolari lenti opzionali) e se si usano obiettivi con angoli di campo inferiori si “sprecherà” gran perte del lampo illuminando parti della scena che non rientreranno nella foto. Aggiuntivi simili a quelli utilizzabili con il 480EG possono essere impiegati anche con flash più comuni.

Come già detto, il numero guida non rappresenta la potenza effettiva del flash. La potenza del lampo di un flash si descrive in candele emesse per secondi (beam candlepower seconds – BCPS) oppure in candele effettive per secondi (effettive candlepower seconds – ECPS) o anche in termini di unità di energia (quindi Joule o Watt per secondo). Nessuna di queste unità di misura è comunemente usata nell’ambito dei flash portatili, per questa ragione non verranno trattate. Queste unità di misura sono impiegate in numerosi altri campi, quindi, è possibile incontrarle molto spesso senza che si parli di flash.

Infine, quando si parla di numeri guida bisogna mettere in conto una certa dose di soggettività, che probabilmente è il motivo per cui essi si chiamano guida. Ricordiamoci sempre della domanda “cosa significa soggetto correttamente illuminato?”. Come sappiamo il concetto di correttamente illuminato varia moltissimo in base ai gusti ed alle necessità, quindi non bisogna stupirsi se un produttore assegna un numero guida più o meno alto rispetto ad un flash di pari potenza reale di un altro produttore. In genere questi ultimi tendono ad essere ottimisti nel dichiarare gli NG del propri prodotti.

6.4 Valore di esposizione (exposure value – EV)

La sensibilità delle apparecchiature fotografiche come i sensori AF o gli esposimetri è espressa in EV (exposure value – valori di esposizione) riferiti ad un determinato obiettivo e sensibilità ISO.
Dal momento che la quantità di luce che raggiunge la pellicola/sensore è regolata dal tempo di esposizione e dall’apertura del diaframma, gli EV indicano semplicemente delle combinazioni di tali parametri. Ad esempio, f/4 ed 1/30 corrispondono a 9 EV, valore che però può indicare anche f/2 con 1/125, ecc.
Qui di seguito vi propongo una tabella dove potrete vedere graficamente questo concetto.

Tutte le combinazioni corrispondenti allo stesso EV fanno arrivare la stessa quantità di luce alla pellicola/sensore, quello che cambia sono la profondità di campo ed il mosso in base ai principi che tutti conosciamo.
Per ultimo occorre ricordare che i valori EV hanno senso solo se vengono riferiti ad una determinata sensibilità (come molte altre cose in fotografia, ricordate i numeri guida?). In particolare di solito le tabelle che si possono reperire si riferiscono a 100 ISO. In particolare Canon attualmente effettua le misurazioni sui propri dispositivi montando l’obiettivo 50mm f/1.4 e regolando le impostazioni a 100 ISO.

6.5 Unità flash dedicate e non dedicate

Ai vecchi tempi del flash elettronico, quando il sensore era contenuto all’interno del flash stesso, l’unico comando che la fotocamera aveva sul dispositivo era l’innesco. Siccome non era ancora possibile avere comunicazione bi-direzionale fra lampeggiatore e fotocamera, il livello di potenza e la durata del lampo erano decisi direttamente dal flash stesso. Per questa ragione venivano venduti molti flash generici, i quali funzionavano allo stesso modo su qualsiasi tipo di fotocamera.
Negli anni ’80 i produttori di fotocamere iniziarono a fabbricare unità flash dedicate in grado di funzionare solo all’interno del proprio sistema fotografico in modo da ottenere un controllo più preciso sui risultati finali (ed anche vendere un maggior numero dei propri flash a scapito dei produttori universali).
Gli odierni Speedlite di Canon sono esplicitamente progettati per comunicare digitalmente e funzionare solo con le fotocamere EOS. Se montati su altre macchina fotografiche funzionano nella maniera più basilare possibile, emettendo sempre lampi alla massima potenza (o al limite regolandola in modo manuale).
Produttori “universali” quali Metz, Sigma o Nissin (ma non solo) producono ormai da anni flash in grado di comunicare con i protocolli specifici dei vari sistemi fotografici grazie ad adattatori specifici o (in alcuni casi) costruendo unità flash specifiche.

6.6 Slitta porta accessori (shoe mount)

La maggior parte delle reflex odierne ha un connettore quadrato, collocato sopra al mirino, progettato per accogliere il flash esterno facendocelo scorrere dentro. Questo connettore è chiamato slitta porta accessori/flash a caldo (hot shoe mount). A caldo significa che è dotata dei contatti elettrici necessari all’innesco del flash (per contro, se non avesse contatti elettrici si chiamerebbe a freddo, ma nessuna fotocamera moderna porta questo tipo di slitta). Nonostante il nome, quando non ci sono flash collegati, non esiste rischio di shock elettrici perché la tensione veicolata è pressoché insignificante.
La slitta accessori di Canon è dotata di quattro contatti supplementari oltre a quello per l’innesco. Questi contatti servono al flash per comunicare digitalmente con la fotocamera e quindi rendono possibile il funzionamento delle varie tecnologie TTL, A-TTL, E-TTL ed E-TTL II. Essendo parte di tecnologie proprietarie, questi contatti sono incompatibili con gli apparecchi prodotti da Nikon, Pentax, Minolta/Sony (in questo caso la slitta ha addirittura una forma differente da quella standard, e solo gli ultimi modelli immessi sul mercato sono dotati di un collegamento dall’aspetto più tradizionale), ecc.
Un altro elemento presente nel sistema di Canon è un piccolo perno di bloccaggio presente nel piedino di fissaggio della maggior parte degli Speedlite. Il perno fuoriesce dal piedino nel momento in cui si gira la ghiera di fissaggio (o la leva di rilascio rapido) ed entra in un piccolo foro presente nella slitta, riducendo ulteriormente il pericolo di sgancio accidentale del flash. Se la fotocamera è sprovvista del forellino non c’è da preoccuparsi, infatti il perno del flash è montato su una molla e non si danneggerà colpendo la superficie della slitta.
Faccio notare che il piedino di plastica di cui sono dotati la maggior parte dei flash, spesso non è robusto quanto dovrebbe essere, pertanto non è mai un buona idea sollevare la fotocamera prendendola dal lampeggiatore. Prendetela sempre dalla parte più sicura, cioè dalla parte dell’impugnatura.

Flash dotati di piedino in metallo e leva di rilascio rapido:
Speedlite 270EX II, 320EX, 430EX II; 580EX II, 600EX, 600EX-RT e ST-E3-RT.

6.7 L’effetto occhi rossi

L’effetto occhi rossi, problema molto comune nelle istantanee, si forma quando il lampo di luce rimbalza sui vasi sanguigni della retina dell’occhio e ritorna verso la fotocamera. Il risultato sono i ben noti occhi “maligni” e luccicanti di rosso. Questo accade in modo particolare negli ambienti in cui la luce è scarsa (salotti, ristoranti, ecc.) perché in queste condizioni le pupille dei soggetti si dilatano per fa entrare più luce e danno più spazio al riflesso rosso. Tutto questo non accade nelle scene illuminate dal sole, in parte perché le pupille degli occhi si contraggono e in secondo luogo perché il flash generalmente viene attivato a potenze inferiori.
Il problema si intensifica mano a mano che ci si allontana dal soggetto e diventa ancora più evidente se si usano i teleobiettivi per fare ritratti. Maggiore è la distanza fra fotocamera e soggetto, più si dovrà allontanare il flash dall’obiettivo per eliminare il problema.
La ragione di tutto questo è geometrica. Chi di voi ha studiato un po’ di fisica al liceo avrà sicuramente affrontato i rudimenti dell’ottica, e sicuramente ricorderà che un raggio di luce si riflette su un oggetto con un angolo identico a quello con cui lo colpisce. Di conseguenza, se il raggio colpisce perpendicolarmente una superficie si rifletterà nella stessa direzione da cui esso proviene. Lo stesso vale per il flash. Il lampo viene emesso dalla lampada, i suoi raggi colpiscono tutti gli oggetto presenti nell’inquadratura e vengono riflessi in base all’angolazione delle varie superfici. Gli occhi di chi si mette in posa per farsi fotografare (la cui retina è la superficie incriminata) spesso guardano verso l’obiettivo della fotocamera, la quale molto spesso integra il flash ponendolo di fatto di fronte agli occhi dei soggetti. In questo scenario l’angolo fra il lampo e l’occhio è praticamente perpendicolare, quindi il raggio (tintosi di rosso) si filetterà direttamente nell’obiettivo per il principio descritto sopra. A questo punto appare chiaro che la soluzione più semplice per ridurre il problema degli occhi rossi è fare in modo che il raggio di luce non colpisca perpendicolarmente gli occhi del soggetto riflettendosi altrove, e questo si ottiene allargando l’angolo fra flash ed occhio. Per fare ciò è necessario allontanare il flash dall’obiettivo facendo attenzione anche alla distanza di ripresa, infatti più il soggetto è lontano minore sarà l’effetto della distanza perché l’angolo tornerà ad assottigliassi riproponendo lo scenario iniziale.
E’ interessante notare che fotografare animali come cani e gatti pone problemi simili (anche se per cause differenti) a quello degli occhi rossi. Cani e gatti all’interno dei loro occhi possiedono una membrana chiamata tapetum lucidum che migliora la capacità di vedere al buoi. Questa membrana riflette la luce del flash apparendo colorata di verde, giallo o blu. Si spiegano in questo modo anche i riflessi negli occhi di cani, gatti e cervi in piena notte, cosa che non accade con gli esseri umano a causa della mancanza di questa membrana.

6.8 Riduzione degli occhi rossi

Esistono molti sistemi per affrontare questo tema. Il primo e più efficace è quello di allontanare il flash dalla fotocamera o impiegare la tecnica del flash di rimbalzo in modo da cambiare l’angolo fra lampo ed occhi. Però, per le ragioni espresse sopra, aumentando la distanza dal soggetto questo metodo perde efficacia, allora può essere opportuno anche staccare il flash dalla fotocamera e sollevarlo ad un’altezza maggiore per aumentare la distanza fra essi. Se ci fate caso, i fotografi di matrimoni fanno esattamente questo ogni volta che usano i flash montati su grosse staffe, esse infatti sono fatte appositamente per mettere distanza fra fonte di luce di luce ed obiettivo. Il flash di rimbalzo, naturalmente, elimina gli occhi rossi per definizione alterando completamente la provenienza della luce.
Uno svantaggio dello spostare il flash (a parte lo spostamento fisico) coinvolge la fotografia con basse luci. Quando la luce scarseggia, le pupille degli occhi si dilatano in modo da far entrare più luce, esattamente come facciamo con il diaframma dell’obiettivo. Però, quando il lampo “colpisce”, la pupilla non ha il tempo di chiudersi e resta aperta con il rischio di ottenere soggetti con pupille enormi come se fossero sotto l’effetto di droghe.
Una seconda via per ridurre gli occhi rossi (e ridurre le dimensioni delle pupille) è quella di far guardare una luce brillante al soggetto un attimo prima di scattare la foto. E’ un sistema che in genere funziona perché la pupilla reagisce naturalmente chiudendosi per far entrare meno luce e quindi riduce anche la quantità di luce che si ridette sulla retina. Per questa ragione molte EOS sono dotate di una luce bianca che il fotografo può attivare a piacimento.
Su alcune EOS come la 100 o la 50, la lampada ausiliaria per la riduzione degli occhi rossi è montata nell’alloggiamento del flash, di conseguenza non può funzionare se è installato un flash esterno. Su altri modelli, come la D30, la lampada è collocata più in basso sul corpo e funziona regolarmente in presenza di flash esterni. In altri casi la lampada ausiliaria non funziona con i flash esterni anche se la sua posizione lo permetterebbe.
In ogni caso, queste piccole lampade non sono particolarmente utili con i flash esterni perché essi tendono ad essere piuttosto alti rispetto all’obiettivo e spesso sono usati di rimbalzo. Inoltre se il soggetto risulta essere distante dalla fotocamera, esse perdono rapidamente di efficacia a causa della dispersione della luce. Per queste ragioni nessuno Speedlite è dotato di questo sistema, Canon lo riserva alle fotocamere compatte ed ai flash integrati nelle reflex.
Il lato negativo dei sistemi di riduzione degli occhi rossi è che spesso i “malcapitati” appaiono storditi per aver guardato direttamente la luce ausiliaria.
Sguardi satanici o aspetto stordito…queste sono le opzioni del flash integrato. A voi la scelta!
Un’ultima opzioni è rappresentata dal ritocco. Se usate una fotocamera analogica potete coprire gli occhi rossi sulle stampe con un pennarello mentre se avete una fotocamera digitale potete ritoccare direttamente il file, ma entrambi i casi sono da considerarsi metodi goffi e di extrema ratio.

6.9 Il problema della sincronizzazione sulla prima tendina

Come ho scritto nella sezione sul sincro-X, le EOS (e quasi tutte le reflex di piccolo formato) sono dotate di un otturatore con due tendine mobili. La prima apre l’otturatore, la seconda lo chiude.
Se scattiamo una foto ad un oggetto statico con un tempo lento e flash non avremo problemi di sorta, ma se dovessimo fotografare un oggetto mobile con le stesse condizioni, avremmo qualche problema. L’otturatore si aprirebbe, il flash emetterebbe il suo breve lampo per illuminare il soggetto e poi l’otturatore rimarrebbe aperto fino al momento della sua naturale chiusura permettendo di registrare la scia prodotta dal soggetto, scia che però apparirà davanti e non dietro come se si stesse muovendo all’indietro. Questo inconveniente è dovuto al fatto che il lampo è stato emesso nella fase iniziale dello scatto congelando il movimento al suo principio, e non al suo termine.

6.10 La sincronizzazione sulla seconda tendina

Per risolvere l’inconveniente appena descritto ed ottenere scie dall’aspetto naturale (cioè che seguano il movimento e non che lo precedano) è necessario emettere il lampo poco prima che l’otturatore si chiuda. Tutto ciò è noto come sincronizzazione sulla seconda tendina poiché il flash viene emesso 1,5 millisecondi prima che venga rilasciata la seconda tendina dell’otturatore. La Canon T90 assieme allo Speedlite 300TL sono stati la prima combinazione fotocamera/flash a poter supportare questa funzione.
Lo svantaggio della sincronizzazione sulla seconda tendina è la relativa complicazione nello scattare la foto se si utilizza un tempo lento. Con il flash tradizionale ci si limita a scattare nel momento che appare più adeguato, mentre in questo caso non è possibile vedere il movimento perché il mirino è oscurato dallo specchio e sempre a causa dello specchio non è possibile sapere esattamente se il soggetto è ancora nell’inquadratura al termine dell’esposizione. Per queste ragioni le impostazioni di fabbrica delle EOS sono regolate con la sincronizzazione sulla prima tendina.
Esiste poi un ulteriore problema se si sta utilizzando il sistema E-TTL. Il pre-lampo viene emesso prima di aprire l’otturatore e se si sta utilizzando un tempo lento i due lampi saranno chiaramente distinguibili (più sarà l’unga l’esposizione più tempo passerà fra i due lampi). Normalmente il ritardo del lampo principale non crea problemi o ha effetti negativi, ma ci sono due casi in cui si possono verificare degli inconvenienti. Il primo è il caso in cui il soggetto si muove in modo tale che la misurazione del pre-lampo non sia corretta (utilizzare la funzione FE-L può risolvere il problema), e il secondo è che il pre-lampo potrebbe confondere i soggetti umani (il pre-lampo può far pensare che la foto sia già stata scattata).
Per sapere se la vostra fotocamera è dotata di questa funzione, consultate la sezione apposita.

6.11 La teoria del colore

Attenzione, questa sezione è piuttosto dettagliata, ma è necessario per capire correttamente le basi dello spostamento del colore in fotografia.

L’occhio umano, o più precisamente il cervello, è estremamente adattabile. Se osservate un foglio di carta bianco in una stanza illuminata solo da una lampadina ad incandescenza (tungsteno), la carta vi apparirà bianca. Se portate lo stesso foglio all’esterno e lo guardate sotto la luce del sole vi sembrerà ancora bianco. Però la lampadina ad incandescenza e il Sole producono una luce molto differente fra loro. La luce della lampadina è giallo-arancio, mentre quella del Sole è quasi azzurra.
Questo accade perché differenti fonti di luce hanno differente temperatura del colore. Questa caratteristica è così chiamata perché rappresenta il colore della luce come se venisse emessa da un corpo nero a determinate temperature indicate in gradi Kelvin (è una scala similare a quella Celsius, ma con lo zero fissato a circa -273°C, ossia lo zero assoluto).
Avventurandosi in questo argomento bisogna fare molta attenzione alla terminologia. Normalmente ci si riferisce a colori come rosso, arancio o giallo come a colori caldi mentre verde, bianco o blu sono detti freddi, ma nella teoria del colore i colori tendenti al rosso si associano alle basse temperature, mentre quelli che tendono al blu sono quelli caldi. Notate anche che in ambito fotografico si parla solo dello spostamento del colore tra rosso e blu, che è una forte semplificazione rispetto ai modelli utilizzati dai fisici.
Le normali lampadine ad incandescenza (quelle al tungsteno) teoricamente si dovrebbero attestare intorno ad una temperatura di colore di circa 3.200 Kelvin (K da ora in poi), ma nella pratica spesso risultano avere una temperatura di 2.900 K (subiscono variazioni del colore con l’invecchiamento o risentono delle variazioni di voltaggio). Le lampadine alogene (benché basate anch’esse su filamenti di tungsteno) non corrette per simulare la luce diurna hanno una temperatura leggermente superiore che raggiunge i 3.400 K. La luce delle candele è molto più bassa, intorno ai 1.400~2.000 K.
La luce diurna ha una temperatura che oscilla fra i 5.000 e i 6.000 K, a volte è indicata come 5.500 K per la luce del mezzo giorno solare. Naturalmente questi valori possono variare. Come le lampadine citate sopra, la luce solare può cambiare a seconda delle condizioni atmosferiche e dell’ora del giorno. Infatti, la luce naturale varia da un minimo di 2.000 K al tramonto ad un massimo di 20.000 K delle tonalità blu della sera. La luce del sole diffusa dall’atmosfera ha colore blu.
In condizioni normali il cervello compensa le differenze e ci impedisce di accorgerci delle differenze, ma quando ci si trova in presenza di illuminazione mista possiamo renderci conto della diversa natura della luce. Per fare un esempio, se ci trovassimo all’aperto ed osservassimo la finestra di un palazzo ci accorgeremmo subito che la luce delle lampadine è gialla mentre al confronto il cielo attorno al palazzo apparirebbe blu.

6.12 La temperatura del colore e le pellicole

La temperatura del colore non è teoria pura. E’ un problema reale della fotografia a colori perché la pellicola registra esattamente ciò che “vede” e non effettua alcun adattamento automatico.
La pellicola è progettata per riprodurre una determinata temperatura di colore come bianca.
Ecco spiegata la ragione per cui esistono pellicole classificate come “Daylight” (luce diurna) e “Tungsten” (luce artificiale), si tratta di pellicole tarate per riprodurre come bianca rispettivamente la luce naturale e la luce delle lampadine ad incandescenza. Una pellicola daylight usata con luce artificiale produce un’immagine dai toni arancio, mentre una pellicola tungsten usata con luce naturale produce immagini tendenti all’azzurro, dunque è importante utilizzare pellicole adatte alle condizioni di luce. Normalmente la precisione assoluta non è necessaria poiché esistono tolleranze sufficienti a comprendere la maggior parte dei casi, ma i professionisti che necessitano il bilanciamento migliore possibile utilizzano dei colorimetri per ottenere i dati su cui basare i calcoli dei filtri da montare sulla fotocamera.
Dominanti di colore si verificano anche con sorgenti di luce diverse dalle lampadine ad incandescenza. Anzi, molti tipi di illuminazione artificiale imprimono strane dominanti sulle pellicole a colori diurne (daylight). La maggior parte delle lampadine a fluorescenza (come i neon e le lampade a basso consumo) tendono a conferire una tinta verdognola se non si antepongono all’obiettivo degli appositi filtri color magenta. Purtroppo anche in questo frangente non si può fare di tutta l’erba un fascio, infatti a seconda del produttore e del tipo di lampadina possono verificarsi reazioni molto diverse (esistono anche dei tipi di lampadine studiate appositamente per evitare dominanti fastidiose). In particolare le lampade ad alta pressione con mercurio e sodio usate per fini industriali spesso provocano dominanti non prevedibili a seconda dei gas contenuti. Notate anche che la definizione temperatura del colore non si applica in modo letterale alle lampade a fluorescenza (la luce viene prodotta in maniera del tutto differente), ma viene comunque usata dai produttori per approssimare una classificazione. In ultimo, anche la luce diurna varia molto in base alla condizioni atmosferiche ed all’orario. Una serata innevata si presenta quasi blu, mentre un tramonto polveroso è molto arancione.
La temperatura del colore è un settore in cui il digitale ha un vantaggio molto significativo rispetto alla fotografia chimica. Tutte le fotocamere digitali serie permettono di bilanciare il bianco a seconda delle necessità e volontà (cioè effettuare una regolazione tale da indicare alla fotocamera quale sia il punto di bianco giusto per non avere dominanti). Tutte le EOS serie “D” permettono di usare una regolazione automatica di base o scegliere una regolazione apposita per le condizioni di luce più comuni (o anche di effettuare regolazioni personalizzate). Le fotocamere analogiche non hanno questa possibilità perché la temperatura del colore (ciò che fissa il punto di bianco) è una caratteristica permanente della pellicola in uso e non può essere alterata. Le sole opzioni possibili sono quelle di montare dei filtri sull’obiettivo in grado di tagliare le lunghezze d’onda delle dominanti, oppure agire in modo simile in camera oscura in fase di stampa, oppure ancora di acquisire digitalmente i negativi e correggere le immagini ottenute al computer.

6.13 La temperatura del colore e la fotografia con flash

Dal momento che la maggior parte delle fotografie sono scattate con luce naturale, la maggior parte delle pellicole sono tarate per la luce solare. In effetti, la maggior parte delle pellicole tarate per luce artificiale erano le diapositive a colori, di cui esistevano due tipi, le rare A e le più comuni B, le quali differivano per la taratura del punto di bianco (3.400 K per le prime e 3.200 K per le seconde), per questa ragione i flash elettronici vennero progettati per produrre una luce similare a quella naturale a mezzo giorno, cioè più blu delle normali lampadine al tungsteno.
Questa differenza è visibile quando si utilizzano tempi lenti. Se scattate delle foto con flash in interni illuminati artificialmente e con il bilanciamento per la luce naturale, otterrete immagini con il soggetto senza dominanti mentre tutto il resto tenderà al giallo-arancio. Questo accade perché il lampo simile alla luce naturale illumina solo il soggetto, mentre tutto il resto risente della luce delle lampadine.
Si può anche sfruttare questi effetti per fini creativi. Ad esempio scattando con flash e bilanciamento per luce artificiale si ottengono dominanti bluastre, o si può anche porre un filtro arancio sulla testa del flash, in questo modo si otterrà il soggetto con colori normali, e l’ambientazione tenderà all’azzurro.
L’ultima nota riguarda il fatto che il voltaggio somministrato alla lampada del flash può alterare leggermente il colore del lampo. Normalmente non si ha controllo su questo parametro, ma le più recenti EOS e i relativi flash possono dialogare comunicandosi il voltaggio impiegato in modo da effettuare le compensazioni necessarie a correggere anche le più piccole dominanti.

6.14 I filtri colorati

Esistono filtri specifici per effettuare la conversione della temperatura del colore al momento dello scatto; il tipo specifico dipende dall’effetto che si vuole ottenere. Per esempio si può fare in modo che la luce del flash combaci con la luce ambientale, oppure si può deliberatamente mischiare due tipi differenti di luce per fini creativi.
I filtri si possono installare in vari luoghi (passatemi il termine). Se volete che l’effetto si ripercuota su tutta la scena potete montare il filtro sulla lente. Altrimenti potete metterlo su di una specifica lampada per influenzare solo la luce emessa da essa o potete mettere un diffusore colorato direttamente sul vostro flash per cambiare solo l’illuminazione del vostro soggetto.
Una maniera molto economica per alterare la luce emessa dal flash è quella di recarsi presso un venditore di illuminazione per cinema o teatro e chiedere un campionario delle gelatine Lee Filters o Rosco. Si tratta di una collezione di gelatine colorate delle dimensioni sufficienti a coprire la testa dei comuni flash portatili, basta arrangiare un sistema di fissaggio e il gioco è fatto.
I filtri di conversione possono essere usati in due direzioni. Se vogliamo spostare il bilanciamento dal giallo-arancio (tungsteno) all’azzurro (luce naturale) ci servirà un filtro raffreddante. Se vogliamo ottenere l’effetto contrario, dovremo usare un filtro riscaldante. Come anticipato, i termini generano un po’ di confusione se associati con la temperatura del colore, ma in questo caso seguono il normale significato, perciò i filtri raffreddanti sono blu, mentre i riscaldanti sono arancio (a volte indicati come paglia – straw).

6.15 Limitazioni dei filtri

Una cosa importante da ricordare sui filtri è che essi non portano alcuna modifica sulla luce presente, si limitano a “filtrare” (quindi a bloccare) determinate lunghezze d’onda. Quindi per definizione il filtro correttivo riduce la quantità di luce che entra nella fotocamera.
I filtri possono cambiare il colore della luce bianca perché essa è composta da tutti i colori dello spettro visibile (come scopri Newton con il suo esperimento del prisma ma non si può in alcun modo sperare di correggere una luce, diciamo, rossa semplicemente mettendoci un filtro sopra. Ricordate sempre che un filtro non può aggiungere nulla, ma solo togliere specifiche lunghezze d’onda.
Proprio per questo è molto complicato scattare foto in ambienti illuminati da lampade al sodio e mercurio come i lampioni delle strade. La luce di queste lampade è giallo-arancio ed è composta di lunghezze d’onda molto vicine fra loro. Filtrare la componente rossa o gialla (ad esempio) non è utile perché lascerebbe ben poco con cui produrre le immagini fotografiche.
Le limitazioni appena descritte riducono molto le possibilità di correggere la luce, in modo particolare con la fotografia chimica. Naturalmente è vero che in camera oscura è possibile eseguire molti recuperi e correzioni, però è vero anche che si tratta di tecniche complesse e che possono necessitare di attrezzature costose. In definitiva, spostarsi nel mondo digitale permette, anche questa volta, la maggiore libertà possibile.

6.16 I mired

La temperatura del colore viene misurata in gradi Kelvin, ma in fotografia viene utilizzata un’altra unità di misura chiamata mired, cioè micro-gradi reciproci. Per ottenere un valore in mired è sufficiente dividere 1.000.000 per la temperatura in della luce in questione, perciò se abbiamo 5.500 K essi equivalgono a 182 mired, per esteso 1.000.000 : 5.500 = 182.
I mired sono comunemente usati per convertire la temperatura delle sorgenti di luce in altra temperatura grazie agli appositi filtri di conversione. Per esempio fingiamo di dover scattare una foto con il flash elettronico pur avendo nella fotocamera una pellicola per luce artificiale. Per compensare la differenza della luce dovremo porre un filtro colorato sulla testa del flash, ma di quale tipo?
Diciamo che la luce del flash è a 5.500 K, mentre la pellicola riproduce il bianco se la luce è a 3.200 K. Le due temperature corrispondono rispettivamente a 182 e 312 mired, quindi la differenza è +130 mired, che è il nostro spostamento o shift (un valore positivo richiede un filtro riscaldante, mentre un valore negativo comporta un filtro raffreddante).
Ora possiamo consultare un catalogo di gelatine o un campionario (ad esempio quelli che ho citato sopra) ed individuare il filtro di conversione più simile al valore +130 mired che ci serve. Se ci stiamo basando sul catalogo Rosco potremmo acquistare un Roscosun CTO che opera una conversione di + 167 mired. Se abbiamo il catalogo Lee Filters troveremo il Full CTO Orange da +158 mired. Nessuno dei due è esattamente il valore che avevamo trovato, ma sono entrambi sufficientemente vicini per assicurare delle buone stampe, inoltre si può sempre intervenire in camera oscura. Invece nel caso steste usando una pellicola diapositiva, potreste trovare utile eccedere con la conversione in modo da ottenere immagini più calde (o potreste non compensare per avere immagini dai toni più freddi). Tutto questo basandosi sull’ipotesi che il flash sia effettivamente a 5.500 K, anche se nella realtà potrebbe avere un valore un po’ più alto.
Molti produttori di gelatine e filtri si limitano ad indicare le temperature di colore fra cui eseguono la conversione, in questo modo, se vi interessa passare solo da daylight e tungsten e viceversa, potete tranquillamente saltare tutto il discorso dei mired. Ma il sistema dei mired risulta estremamente utile se si devono fronteggiare situazioni complesse che coinvolgono più di un filtro.

6.17 La scala Wratten

Molti produttori di filtri seguono la scala Wratten per descrivere la loro gamma di filtri di conversione. Frederick Wratten fu l’inventore britannico che, all’inizio del 1900, sviluppò una serie di filtri colorati contraddistinti da numeri arbitrariamente assegnati. La sua azienda venne acquisita da Kodak nel 1912, ed oggi i filtri Wratten sono commercializzati da Tiffen.

Questi filtri sono piuttosto scuri e sottraggono circa 1 stop di luce la serie 80, e 2/3 di stop la serie 85.
Fra i filtri di conversione comunemente usati esistono anche tipologie più delicate come i riscaldanti della serie 81 e i raffreddanti serie 82. Queste due serie sono impiegate per la conversione della luce, ma in modo meno estremo solo per ridurre le dominanti. Ad esempio il filtro 81B è utile per ridurre la dominate che si forma con le pellicole daylight se si fotografa in ombra.
I produttori tedeschi usano un loro sistema di riferimento in cui la sigla KB indica i filtri raffreddanti blu e la sigla KR indica i riscaldanti arancioni.

6.18 Il voltaggio di innesco

Le vecchie unità flash, che fossero i piccoli flash portatili per montaggio su slitta a caldo o i grossi lampeggiatori da studio, avevano voltaggi di innesco fra flash e fotocamera molto alti. Siccome al tempo non si aveva a che fare con la delicata elettronica computerizzata e si usavano semplici interruttori, questi Voltaggi si oscillavano fra i 25 e i 250 Volt.
Le moderne fotocamere elettroniche possono fare a meno di Voltaggi così alti grazie alla loro circuiteria anzi, per la precisione, un Voltaggio troppo alto può anche provocare danni alla macchina fotografica. Nello specifico la slitta porta flash delle fotocamere EOS, e credo anche la T90, è progettata per una tensione non superiore ai 6 Volt.
Il limite dei 6 Volt a volte si applica anche al connettore PC e a volte no, dipende dalla fotocamera specifica. Canon dichiara che il connettore PC di fotocamere come la 1D, 20D, 20Da e 5D sono in grado di sooportare fino a 250 Volt. In questo caso il limite dei 6 Volt si applica solo alla slitta con contatto a caldo. Sfortunatamente Canon non sempre dichiara sui suoi manuali fino a quale Voltaggio possano reggere le sue fotocamere dotate di connettore PC. Se tale informazione fosse taciuta, può essere una buona idea contattare Canon oppure evitare ogni rischio ed usare un adattatore con limitatore di Voltaggio. La maggior parte delle fotocamere EOS dotate di connettore PC prodotte dopo il 2005 possono resistere fino a 250 Volt.
In ogni caso, se intendete collegare un vecchio flash alla slitta flash vostra EOS è consigliabile accertarsi che la sua tensione di innesco non superi i 6 Volt, è possibile misurare questa tensione con un normale Voltmetro. Esistono anche anche accessori come il Wein Safe.Sync HS che permettono di proteggere la fotocamera nel caso si monti un flash teoricamente non adatto. Se siete portati per l’elettronica e amate il fai-da-te potete anche costruirne uno voi stessi (ndt: se non siete più che sicuri di voi stessi evitatelo). Ancora più sicuri sono i trigger ottici grazie al fatto che non c’è collegamento fisico fra flash e fotocamera. Molti flash da studio possiedono una fotocellula integrata che gli permette di scattare in risposta ad un impulso luminoso proveniente dalla fotocamera, basta impostare il flash in modalità manuale e regolarlo al minimo per avere in mano l’unità master.
In ogni caso fate attenzione, il danneggiamento della fotocamera causato da un flash non adatto può essere lento e cumulativo. Il semplice fatto che il flash si colleghi e funzioni non mette al riparo dal fatto che ad ogni scatto si possa accumulare il logorio dei contatti o delle parti elettroniche a causa del Voltaggio troppo alto (naturalmente è possibile che Canon sia stata un po’ conservativa dichiarando un limite di 6 Volt, quindi è possibile che con tensioni leggermente superiori in realtà non si corrano grossi rischi, ma consiglio comunque di fare attenzione). Non fatevi ingannare neppure dalla quantità di batterie necessarie al funzionamento, è tutto irrilevante poiché esse non partecipano direttamente all’innesco del flash. Per fare un esempio, Alcuni Speedlite di Canon possono utilizzare pacchi batterie con Voltaggi molto alti, ed maltempo stesso avere tensioni di innesco molto basse. Mentre altri flash alimentati solo a 6 Volt possono avere tensioni ben maggiori.
Un ulteriore problema è rappresentato dal fatto che le unità flash più vecchie avevano la polarità invertita rispetto all’uso odierno. Le EOS infatti hanno il polo negativo a massa e il positivo al contatto centrale della slitta. Fanno eccezione solo alcuni modelli professionali che hanno un connettore PC in grado di capire la polarità del circuito e di adeguarsi al flash utilizzato.
Infine, alcuni flash hanno il piedino di montaggio completamente in metallo. Di per se sarebbe un fatto positivo, ma è possibile che un piedino di questo tipo possa mandare in corto i contatti ausiliari presenti nella slitta della vostra EOS. Una semplice soluzione è quella di coprire questi contatti con del nastro isolante oppure di usare un adattatore per non collegare direttamente il flash alla fotocamera. Un problema simile si può verificare anche se il contatto centrale è particolarmente grande. Complice il fatto che le slitte a caldo delle EOS hanno un contatto relativamente piccolo, in questo caso se esso venisse toccasse gli altri contatti presenti, è possibile che la fotocamera si danneggi.

Per poter vedere un censimento di vari modelli di flash testati su criterio dei 6 Volt potete visitare il sito di Kevin Bjorke:

6.19 I flash slave

I flash slave sono semplicemente dei flash a se stanti che reagiscono a segnali di attivazione esterni e sono impiegati principalmente negli studi per consentire al fotografo di preparare complessi set-up multi-flash.
Molti slave flash sono attivati tramite sistemi ottici (optical slave o fotocellule), grazie ai quali le attivazione sono rapide e virtualmente senza ritardi rispetto al lampo master, in questo modo non hanno ricadute sulle foto. Accessori come il Wein Peanut (un piccolo ed economici trigger ottico) consentono di trasformare moltissimi flash in slave ottici (anche se non è del tutto compatibile con molti Canon Speedlite).
Per attivare la fotocellula serve il lampo di un flash di innesco, cioè quello che funge da trasmettitore, e questo è tipicamente il flash integrato della fotocamera o un flash esterno ad essa collocata tramite slitta a caldo o contatto PC. Grazie alla sensibilità delle fotocellule, questo flash può (anzi è consigliabile) essere impostato alla minima potenza in modo da non alterare l’illuminazione della scena. Un altro stratagemma molto usato sfrutta la sensibilità agli infrarossi delle fotocellule, basta infatti mettere una gelatina per infrarossi sulla testa del flash di innesco per avere un trasmettitore invisibile agli occhi umani e sulle fotografie (casi particolari di pellicole infrarosse o fotocamere digitali modificate esulano da questa valutazione).
Il sistema di misurazione E-TTL di Canon pone un problema all’utilizzo degli slave ottici analogici perché è molto probabile che essi vengano attivati dal pre-flash anziché dal lampo principale. Non essendoci poi il tempo di ricaricarsi fra i due lampi, quasi sicuramente si rovina l’esposizione della foto. La soluzione tipica è quella di usare un vecchio flash TTL al posto dell’E-TTL, ma ci sono due problemi a questo approccio. Per maggiori dettagli consultate la sezione disabilitare la misurazione E-TTL. L’altra opzione è quella di usare la funzione FE-L per far scattare i flash slave, poi aspettare che si ricarichino e solo dopo scattare la fotografia (si può anche premere due volte il tasto FE-L in modo da effettuare una corretta lettura E-TTL). Ma si tratta comunque di una soluzione scomoda.
I normali slave ottici sono problematici anche se si lavora fuori dall’ambiente controllato di uno studio. Un caso in cui soffrono parecchio, ad esempio, sono i servizi matrimoniali, dove la compatta di zio Luigi può far scattare gli slave ottici a sproposito con il suo flash, rendendo impossibile la vita al fotografo. In questi casi una soluzione migliore sono i trigger radio, oppure, se la potenza della piccole unità a batterie è sufficiente alle vostre necessità, utilizzare il sistema wireless E-TTL di Canon. In alternativa sono disponibili sul mercato degli accessori come i Wein Digital Smart Slave che sono in grado di capire quale sia il flash quale sia il pre-lampo e quale sia il lampo principale e rispondere solo al secondo.
Un problema significativo della fotografia con flash multipli (almeno uni in cui non sono coinvolti i sistemi di misurazione automatica) è la difficoltà nel pre-visualizzare il risultato finale senza effettuare molti scatti di prova o avere molta esperienza. Normalmente ogni flash deve essere regolato manualmente, e, a meno che non stiate replicando un set-up noto e collaudato o stiate lavorando con uno schema di illuminazione piuttosto semplice (cioè dotato di solo due o tre flash), magari regolandoli con un esposimetro per flash, è una buona idea portare con se un dorso Polaroid per la vostra fotocamera analogica o avere nella borsa una digitale per effettuare degli scatti di prova. La soluzione digitale in particolare è la più vantaggiosa perché permette di effettuare dozzine di prove a costo zero, consentendo anche la più piccola correzione per ottenere ombre e luci esattamente come le si vuole.
In ogni caso usare degli economici slave ottici è un buon modo per preparare il vostro primo studio. Comprate dei vecchi Vivitar 283s o dei flash da studio di seconda mano, metteteci su delle fotocellule e sarete pronti a lavorare.
Canon non produce unità flash spiccatamente indirizzate all’uso come materiale da studio, comunque potete comprare degli adattatori per slitta a caldo (con o senza fili) e trasformare qualsiasi flash in un’unità slave, persino lo Speedlite 480EG può essere utilizzato come slave grazie al Syncro Cord 480. Gli adattatori per slitta a caldo non sono affidabili con ogni combinazione di fotocamera e flash possibili ed è una buona idea fare delle prove prima di iniziare il lavoro. In particolare, molti fotografi hanno riportato che in molti casi le fotocellule non sono in grado di azionare gli Speedlite di Canon più di una volta ed occorre quindi spegnere e riaccendere il flash ogni volta. Lo Ikelite Lite-Link è uno dei pochi slave ottici che apparentemente non presenta questo problema, ed è dotato di un sistema ottico che “taglia” il lampo nel momento in cui rileva che il flash master si disattiva funzionando più o meno come un classico sistema TTL anziché azionarsi solo alla massima potenza.
Secondo Canon, il tempo sincro-X consentito dall’impiego di attrezzatura da studio si attesta fra 1/60 e 1/125 di secondo. Ci sono delle ragioni tecniche per le quali si consigliano tempi più lenti rispetto a quelli possibili con i flash a sistema con misurazione TTL. Primo, perché le unità più vecchie non raggiungevano la piena potenza rapidamente come quelli odierni, e in qualche caso potevano risentire di dominanti colorate in base alla durata del lampo. Secondo, c’è sempre un leggero ritardo del lampo rispetto ai flash TTL (il tempo che passa fra il momento in cui il flash master scatta, viene rilevato e scattano gli slave).
Per questo, quando acquistate una nuova unità slave, è consigliabile fare delle prove per vedere quale sincro-X vi consente, in particolar modo se si tratta di sistemi ottici, radio o di vecchie unità acquistate di seconda mano.
Per quanto riguarda il sistema wireless E-TTL, Canon negli anni ha prodotto numerosi flash compatibili, consultate la sezione E-TTL wireless per informazioni dettagliate.

6.20 Esposimetri per flash

I normali esposimetri non possono misurare la quantità di luce emessa durante un lampo lungo appena una frazione di secondo. Per questa funzione è necessario un esposimetro specializzato nella misurazione dei flash. Per fortuna i dispositivi di questo tipo sono in grado di misurare anche la luce continua, così non è necessario portarsi dietro due apparecchi.
Gli esposimetri per flash sono molto utili in studio per regolare la potenza delle unità slave (che non sono dotati di misurazione TTL o E-TTL). Immaginate di avere un flash da studio che illumina il soggetto facendo rimbalzare il lampo su di un ombrellino, in questo caso con un esposimetro per flash potete fare una regolazione accurata della potenza necessaria ai vostri scopi.
Non approfondirò questo argomento poiché la guida è indirizzata alla comprensione dei flash automatici, ma in rete è pieno di risorse ed esistono numerosi libri per completare il discorso.

6.21 Curiosità sulla sincronizzazione flash

Non sono stato in grado di trovare la spiegazione esatta al perché la sincronizzazione del flash elettronico con l’otturatore si indichi con la X. Le teorie più diffuse sostengono che la X stia a significare Xeno (il gas contenuto nella lampada) oppure i contatti elettrici. Di sicuro c’è le fotocamere più datate hanno connettori per sincronizzazione indicati come M, progettati per azionare flash non elettronici monouso (quel tipo di lampade che contenevano un filamento di metallo o un gomitolo metallico che bruciava al momento dell’innesco).
A differenza dei flash elettronici, che raggiungono la massima potenza quasi istantaneamente, le vecchie lampade elettriche necessitavano di maggior tempo per dare la massima brillantezza. Per questo la sincronizzazione M avveniva con l’otturatore ritardato di circa 20 millisecondi rispetto all’accensione della lampada, in modo da permetterle di raggiungere la massima potenza in tempo per l’effettiva esposizione. Apparentemente la lettera M sta ad indicare le lampade a media velocità.
Nessuna Fotocamera della serie EOS è dotata di sincronizzazione M perché, al giorno d’oggi, praticamente nessuno utilizzerebbe le vecchie lampade elettriche.

 

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