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bepoc – L’autofocus

bepoc – L’autofocus

 5.0 Area inquadrata dall’Autofocus.

Nell’area inquadrata dalla fotocamera, i soggetti reali hanno sempre profondità diverse. È questo il motivo per cui, sulle Reflex, il sensore AF non esamina tutta l’immagine, ma analizza solo brevissimi segmenti. Ciò, però non esclude che anche nella piccola area inquadrata da un singolo segmento del sensore AF possano
esserci punti a distanze diverse. Per gestire al meglio il punto su cui cadrà il fuoco è, perciò, sempre utile (qualche volta necessario), conoscere il campo realmente inquadrato dal sensore AF. Questo campo è serigrafato nel mirino, ma non si sa con quale precisione.

Mentre la differenza tra l’area inquadrata dal sensore e quella visibile nel mirino (un po’ più piccola) è sempre stata fornita dai costruttori (anche nelle fotocamere a pellicola) quella tra l’area inquadrata dal sensore AF e la serigrafia non è mai specificata. Per conoscere il campo realmente inquadrato bisogna misurarselo.

Io ho misurato solo il punto centrale. Il più facile da misurare e l’unico che uso.
Questo Test, almeno per ora, è del tipo va o non va. Non verifica la precisione del fuoco, ma solo se esce il segnale di consenso. Il controllo io l’ho fatto con due diverse procedure che illustro in ordine di esecuzione.

5.1 Procedura 1.

Questa procedura è abbastanza rapida, ma non misura il profilo esatto del perimetro. Misura solo il punto d’intervento per ogni lato, supponendo che il campo sia un quadrato, o un rettangolo.
– Target . . Figura A1.1
– La fotocamera e il Target vanno messi entrambi in bolla, perché i bordi del Target e del sensore devono essere paralleli. L’esposizione, a causa del contrasto elevato, è manuale ed è regolata sulla luce incidente. In mancanza di un esposimetro esterno, si può misurare la propria mano o, osservando l’istogramma, tenere il bianco uno o due stop sotto la saturazione.
– Distanza Target <-> Fotocamera.
Quando è grande:
· Si misura meglio l’area inquadrata.
· Sono inferiori le variazioni dimensionali ruotando la testa.
· Si legge con maggior difficoltà la scala millimetrata.
Scegliete il Vostro compromesso tra precisione e lettura della scala.
Io, con un obiettivo da 50 mm, l’ho posta a:
· 82 cm tra Target e dorso della fotocamera (75 cm dalla pupilla d’ingresso).
· Rapporto di riproduzione = 1:15.
· Proiezione del quadratino centrale sul Target = 10×10 mm.
È la massima distanza alla quale, con questa focale, riesco a leggere bene la scala nel mirino.
– Punto AF sul centro del quadrato bianco in alto a destra.
Controllare che la fotocamera non metta a fuoco (l’area inquadrata dall’AF è priva di contrasto).
Alzare la colonna fino a quando l’autofocus inizia a funzionare (perché inquadra la scala millimetrica del bordo superiore) e poi riabbassarla un po’. Tutta questa manovra serve ad avere la minima distanza tra l’area inquadrata dall’Autofocus e la scala millimetrica del Target. Dopo quest’operazione, il movimento necessario a portare il quadratino sulla scala per la misura, ruotando la testa, è meno di 2° (per il 50 mm) con una variazione di dimensione irrilevante.
Naturalmente, se si possiede un cavalletto con colonna a cremagliera, questa manovra è inutile poiché alzare e abbassare la fotocamera è comodo, fine, e preciso.
– Si sposta lentamente il Target verso destra fino a quando l’autofocus inizia a funzionare. Si va un po’ avanti e indietro perché c’è un po’ d’indecisione, e si media. Il bordo sinistro del campo inquadrato è ora sul bordo del quadrato.
– Si alza l’inquadratura, mediante rotazione verticale, fino a quando il quadratino è sulla scala millimetrica. Si prende nota della posizione dei due lati. Il mirino angolare a x2,5 permette una lettura della scala con una precisione di mezzo millimetro.
– Si ripete per gli altri tre lati.

Questa è la posizione massima d’intervento rispetto alla serigrafia nel mirino misurata con un bordo netto.Per avere il riferimento visualizzato da DPP sulle foto, occorre procedere per via indiretta. Si sposta il quadratino della serigrafia nell’angolino, dove le scale millimetrate s’incrociano (così si ha X=0 e Y= 0) e si scatta una foto sovrapponendo con DPP il punto di Autofocus. Si verifica la sua posizione relativamente a
quella della serigrafia.

Le aree della mia fotocamera sono mostrate in questa immagine qui sotto:

Le tre aree hanno dimensioni diverse (serigrafia 8×8 mm; DPP 12×12 mm; reale 21×21 mm) e non sono neppure centrate tra loro. Misurando, però, il perimetro con la procedura 2, la serigrafia rappresenta l’incrocio dei due bracci della croce in modo preciso.

Due note sugli accessori usati.
Nota 5.1.1) Slitta micrometrica Manfrotto 454.
Meccanicamente, non la trovo all’altezza di altri prodotti Manfrotto.
La fluidità del movimento non è ottenuta con cuscinetti a sfere lineari (evidentemente troppo costosi), ma con un gioco elevato e questo la rende ballerina (in particolare alle estremità).
Per evitare che ballonzoli, occorre bloccarla sempre con la manopola laterale di ottone, ma attenzione a non premere troppo perché spinge brutalmente sulla barra filettata (non c’è un dado intermedio) e si rischia di rovinarla.
L’azzardo scompare bloccandola con uno stuzzicadenti, appiattito con un coltellino, come si vede qui sotto.
Il metodo è tutt’altro che professionale, ma migliora la stabilità senza rischiare di rovinare il filetto.

Nota 5.1.2). Mirino angolare Canon.
Molti lamentano l’orribile meccanica dei cloni cinesi.
Evidentemente non hanno mai avuto in mano l’originale Canon.
Realizzare una meccanica peggiore dell’originale credo richieda un notevole impegno.
Nessun Brand, del resto, produce direttamente tutto quello che commercializza. La frammentazione delle unità produttive renderebbe i costi inaccettabili per alcuni prodotti. È probabile che il mirino angolare, come i Battery Pack, sia un prodotto cinese marcato Canon.

5.2 Procedura 2.

Serve a verificare il perimetro, ossia la vera forma dell’area inquadrata. La procedura è uguale alla precedente ma, come Target, si usa la figura A2.
Il perimetro si spazzola tenendo la punta del triangolo sul limite del limbo in cui va, non va, in modo che il sensore dell’Autofocus inquadri un punto (il vertice del triangolo) e non una linea. Non ho usato un singolo punto all’interno perché avrei dovuto fare delle prove per determinarne le dimensioni più adatte.
L’area risultante del punto AF centrale è questa qui sotto (la figura è la prima versione dell’A2 e non quella inserita adesso in appendice).

I quadrati colorati (rossi e verdi) mostrano la proiezione della serigrafia del punto centrale.
I rossi e i verdi sono le posizioni estreme in cui l’Autofocus funziona con sicurezza spostandosi da ognuno dei quattro vertici. I due quadrati verdi in basso, evidenziati con [*] e rasenti alle scale laterali, non sono corretti. A un certo punto (con questa prima versione della Figura A2) il sensore mette a fuoco sulla scala
millimetrica laterale e perciò non si sa dove finisce l’area. Per evitarlo ho modificato l’A2 allontanando di 1,5 cm le due scale laterali, e ho ripetuto la prova. I risultati sono nel capitolo § 5.3.
I piccoli rettangoli in grigio scuro all’esterno sono una zona in cui l’Autofocus, se è già a fuoco ci rimane, ma se è fuori fuoco, non funziona. O meglio, qualche volta si ferma su una posizione sfocata solo leggermente, ma il segnale di conferma, giustamente, non esce.

Nota 5.2.1).
La Canon nelle White Paper parla di sensori a croce, ma con questo termine probabilmente intende ortogonali. Il sensore centrale più che una croce sembrano tre/quattro ‘I’ come ho disegnato nella figura qui a lato, ma le configurazioni possibili sono più numerose. Cosa facilmente ipotizzabile perché nell’area d’incrocio dovrebbero coesistere due diverse sensibilità e ciò comporta senz’altro dei problemi realizzativi.
La figura include un’immagine del sensore e del mirino fornita dalla Canon nelle sue White Paper.

Nota 5.2.2).
Con 8EV di luce incidente la luminosità dell’obiettivo non influisce. Eseguendo il test con due obiettivi il 50 mm f/1,4 Sigma e il 100 mm f/2,8 Canon, nonostante la differenza di due stop nella luminosità i risultati sono identici, o più precisamente le differenze sono contenute entro la ripetibilità delle mie misure che è 1 mm nell’area grigio scuro, 0,2 mm nel resto, misurati sul Target non sul Sensore.

Nota 5.2.3).
L’indipendenza dal diaframma massimo potrebbe essere dovuta anche a un tempo d’integrazione fissato secondo la luminosità comunicata dall’obiettivo (Si! Capitolo 8.2).

Nota 5.2.4).
L’ampiezza dell’area di autofocus con solo il singolo punto di un vertice del triangolo (procedura 2) ha il lato orizzontale equivalente (circa) a quello misurato usando un bordo completo (procedura 1). OK! Quello verticale, invece, è più ampio. Questo non me lo spiego. Un’altra cosa da indagare.

Conclusioni.

L’Autofocus inizia a funzionare con la punta dei triangoli inclusa per non più di 0,1 mm (mirino x2,5) che con il rapporto di riproduzione 1:15 fanno 0,0067 mm sul sensore. La serigrafia, quindi, non è fatta a caso ma mostra l’area d’incrocio dei due bracci della croce (orizzontale e verticale) ed è precisa.
Lo scostamento di 0,2 mm tra la serigrafia e il punto di Autofocus di DPP NON è dovuto alle tolleranze meccaniche di plastiche e lamierini stampati in cui sono alloggiate le parti come pensavo.
È invece DPP che, per qualche oscura ragione (nota 5.2.5), evidenzia un’area che non corrisponde esattamente alla serigrafia. Area che, però, è centrata all’interno dell’area realmente inquadrata usando dei bordi continui.

La differenza tra le aree giustifica i risultati sballati (back focus) dei Test fatti con le pile (invenzione di successo fatta da un creativo dell’ufficio pubblicità Duracell). In quelli che ho visto io, infatti, il quadratino dell’AF, era sempre simile al diametro della pila. Data l’area reale più ampia, era sicuramente incluso lo sfondo.

Importante:

Per essere sicuri di avere tutta l’area inquadrata dal sensore AF sul medesimo piano è necessario che l’area piatta abbia i lati grandi quattro volte la serigrafia.

Nota 5.2.5).
Un motivo esiste sicuramente perché le coordinate vanno immesse e, immettere un valore o un altro, comporta il medesimo impegno.

5.3 Misure assolute della serigrafia.

Nella parte precedente del capitolo, le dimensioni del campo realmente inquadrato sono sempre state visualizzate relativamente alla serigrafia del quadratino centrale nel mirino, ma potrebbe essere utile sapere quanto è grande questo quadratino rispetto all’inquadratura totale del sensore. La verifica è facilissima.

– Si prende un metro come soggetto da fotografare.
La distanza cui si fotografa in teoria non è importante ma, se si regola la distanza affinché la serigrafia copra esattamente 1 cm, si evita di fare calcoli.
Nota: a occhio una corrispondenza tra la serigrafia e le righe sulla scala del metro, migliore di 1 o 2 decimi è impossibile anche con il mirino angolare 2,5x.
La precisione della misura, perciò, non è migliore del 2%.

– Si mette in bolla, al meglio che si riesce, il metro regolando l’altezza di uno dei due lati con un piccolo cuneo di legno, realizzato con un pezzo di cassetta da frutta e un coltello da cucina. Per la misura si usa una bolla da muratore avendo l’accortezza di farlo sia a 0° sia a 180°. Non tutte le bolle in commercio, infatti, sono precise ma invertendole:
a) Si verifica facilmente la Precisione (la differenza tra le due misure).
b) Gli errori della bolla si possono eliminare.

– Si mette la fotocamera ortogonale al metro (nel mio caso entro 0,5°). Si centra (nel mio caso lo scarto rispetto al “37” era inferiore a 1 mm) e si mette in bolla usando una bolla dedicata, tipo la figura 2.1.3, ma né esistono altre e un inclinometro digitale a Mems (come quelli che usano i muratori qualificati) è più comodo e preciso. Nota: è necessario ruotare sempre la bolla di 180° per verificare la precisione.

– Si verifica, per ulteriore controllo, il parallelismo Metro ↔ Fotocamera dei due punti più esterni dell’Autofocus presenti nel mirino.
Nel mio caso la differenza rispetto a un parallelismo perfetto non è rilevabile a occhio nudo.

– Si scatta una foto. Questa:

Le dimensioni della serigrafia (10×10 mm ±0,2, da 36,5 a 37,5) sono i bordi esterni (i lati del disegno hanno uno spessore) del quadratino bianco e il campo inquadrato è 473 mm (da 13,4 a 60,7 cm). La serigrafia del punto centrale copre, quindi, il 2,1% del campo inquadrato (arrotondiamolo al 2% ±0,2 che facciamo prima) che, per la 5D mk0, corrispondono a 90 x 90 pixel del sensore.

Sullo sfondo bianco della pagina, l’orizzontale del sensore non è visibile. Ho, perciò, inserito una linea ciano alta otto righe che, ingrandendo l’immagine, permette di verificare il piccolo scarto.
Lo scarto orizzontale tra il sensore (la linea ciano) e l’immagine è di 1 mm su 472 mm, equivalente a 0,12°.
Valore che non significa nulla perché i miei errori sono maggiori.
Ridurli sotto di questo livello è possibile ma dovrei costruirmi un porta Target regolabile sui tre assi con sei barre filettate (passo 0,5 mm) e la mia curiosità non è sufficiente per intraprendere questo lavoro. Quindi! Il parallelismo Sensore↔ Mirino è esatto (almeno per me).

In ogni caso, sfido chiunque a rilevare, a occhio, uno scarto di 0,12° tra la fotografia e l’orizzonte del mare o lo spigolo di un edificio perfettamente a piombo (e non come un noto edificio in piazza dei miracoli a Pisa).

Misure del sensore AF (comando Remoto).
Usando l’immagine A2 per misurare il contorno del sensore AF centrale, si trova una bella differenza tra il comando manuale con il pulsante di scatto (fermandosi un po’ a metà) e il comando remoto da PC. Questa qui sotto (figura 5.3.2) è l’area con il comando remoto mappata (in pixel) sul sensore d’immagine.

Le misure sono naturalmente approssimate, poiché non è facile misurare il punto di scatto con l’esattezza di un pixel.
Con lo scatto manuale l’area utile si estende per un centinaio di pixel in tutte le direzioni. Anche qui si conferma che l’algoritmo di AF se fallisce la messa a fuoco normale non desiste subito ma tenta altre vie più complesse.

Anche con il comando remoto, però, l’area reale è sempre molto più estesa della serigrafia che,all’incirca, copre la zona d’intersezione dei due bracci della Croce. I Test con le pile soffrono di back focus perché di solito è effettivamente incluso lo sfondo.

5.4 Errore non risolto.

La mia 5D è programmata con il solo punto centrale e [ONE SHOT]. Nonostante questo, eseguendo le misure con il target verticale e la scala inclinata, avevo degli errori che, da una prima analisi (errata), avevo attribuito ai punti AF invisibili. Punti utilizzati dall’[AI SERVO]. La mia impressione (errata) era che spostassero il fuoco se inquadravano dei particolari posti a una distanza inferiore a quella del punto centrale.

L’impressione era errata, come si vede dal diagramma in Figura 5.4.1 eseguito ponendo un parallelepipedo davanti al soggetto con diverse distanze dalla circonferenza che, nel mirino, delimita l’area della misura Spot.

Condizioni di test:
Luminosità . . . . = 11 EV.
Distanza del target . . . = 1 m dalla pupilla d’entrata.
Distanza del Fuori Fuoco . . = -8 cm
Raggio del cerchio della misura Spot . = 4,8 cm
Distanze dalla circonferenza del cerchio = 2 cm all’esterno, 0,5 cm all’esterno, sulla circonferenza,
0,5 cm all’interno, 1,5 cm all’interno.
Lato della serigrafia dell’AF . . = 1,3 cm.

Nessuna variazione!
Il fuoco cade sempre 1 cm davanti al target.
Continuando a spostare il parallelepipedo verso il punto di AF, la distanza inizia a cambiare a 3 cm dal centro e diminuisce gradualmente, ma non linearmente, fino a quando il parallelepipedo copre completamente i 3 cm centrali. A questo punto il fuoco è sul parallelepipedo come da ipotesi sul caso (a) del capitolo § 3.5.
Gli errori che avevo trovato rimangono enigmatici.  

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